Cultura & Società
Meeting di Rimini 2018. Vittadini: «L’Italia per essere unita deve puntare sulle proprie differenze»
Un’economia a misura di persona. Una politica fatta di partiti radicati nella popolazione e non in mano a «uomini soli al comando». Diversi i messaggi lanciati da Rimini e sottolineati da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e uno dei fondatori di Comunione e Liberazione, che traccia il bilancio della 39ª edizione del Meeting. Una manifestazione alla quale non hanno partecipato ministri del Movimento 5 Stelle, unici rappresentanti assenti dei partiti dell’arco parlamentare: «È il M5S a non voler venire. Non possiamo obbligarli», afferma Vittadini. Parlando del tema dell’edizione appena conclusa «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice», spiega che «è una provocazione». «Se il cuore dell’uomo non desidera migliorare non c’è storia neppure dal punto di vista del progresso economico. Ma il progresso economico non basta, perché non soddisfa il cuore dell’uomo. Il desiderio di felicità dell’uomo, che non può essere soddisfatto da ricchezza e potere, è quello che mette in moto la storia». E i modelli sono «i testimoni di giustizia, di verità e di bellezza».
Quali forze muovono la storia oggi?
«Come sempre la storia è mossa da un desiderio di miglioramento, che però degrada e, sia a livello nazionale che internazionale, diventa potere, diventa lamento e rancore, che è la parola, secondo il Censis, più diffusa in Italia. Credo che, adesso più di prima, le voci disarmate, come quella del Papa o quelle che ci testimoniano, ad esempio, la vita che rinasce in Siria dopo le distruzioni, mettono in moto la storia».
Dal Meeting allora un messaggio di speranza contro il rancore…
«Certo, vogliamo diffondere l’idea che non possiamo accontentarci della felicità privata contro una voce generale per cui la storia va male. Ma la testimonianza personale diventi un fattore di cambiamento. Abbiamo sentito la testimonianza di Veronica Cantero, giovane scrittrice che ha incontrato il Papa. Ci dimostra che la vita rinasce quando sembra non esserci più speranza».
Perché il Pil non può essere la risposta a questo desiderio di felicità?
«Il Pil sicuramente va tenuto presente, perché se non si crea ricchezza non si crea lavoro e non possiamo neppure aiutare i poveri. Più che Pil, la parola chiave è il lavoro dell’uomo necessario in un’economia che sia circolare. In questo Meeting abbiamo ospitato economisti che ci hanno parlato del Bes, ci hanno detto che bisogna tenere presente nello sviluppo l’educazione, la salute, l’assistenza, l’ambiente. Alcune di queste voci sono comprese ormai nel modo di guardare il Documento di programmazione economica finanziaria. Penso che oggi parlare di sviluppo significhi anche queste cose, perché il Pil può rivelarsi da solo un aumento vertiginoso della diseguaglianza, come è avvenuto negli ultimi anni quasi in tutti i Paesi del mondo».
Quale contributo dà il Meeting al dibattito politico?
«L’Intergruppo per la sussidiarietà, che si riunirà anche in questa legislatura e che ha partecipato al Meeting, sembra sia stato un bellissimo esempio di ritorno al dialogo delle forze politiche. Perché attualmente c’è un ‘must’, quello dell’uomo solo al comando che denigra gli altri. Però, non farà molta strada. Se non si dialoga non si va da nessuna parte. Quindi, il ritorno al dialogo, al paragone culturale tra tutte le forze, mi sembra un fattore necessario per la questione politica. Altrimenti non risolviamo i problemi che abbiamo».
L’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà ci porta a parlare anche di Mezzogiorno…
«È una questione fondamentale perché sono evidenti le disuguaglianze tra Nord e Sud. Se perdiamo le grandi possibilità che abbiamo, dall’allargamento dei porti alla formazione dei giovani, da un’agricoltura di livello alle energie rinnovabili, allora restiamo indietro. La voce dell’arcivescovo di Taranto è stata interessante per ribadire la necessità di fare del Sud non un problema, ma il problema dello sviluppo italiano».
Quali sono le vostre proposte per il Sud?
«Dobbiamo pensare quest’area come il centro di un nuovo mondo, del Mediterraneo, di cui si è parlato purtroppo solo per il terrorismo. Invece, è un’area dove metà della popolazione ha meno di 50 anni e possibilità di sviluppo. Questo mette a tema la migrazione come una grande risorsa, perché di fronte al crollo demografico i nuovi italiani di cui abbiamo parlato al Meeting sono una grandissima risorsa. È evidente l’importanza di ridistribuire le risorse e aiutare il Mezzogiorno. Ma perché non rendersi conto che in una forma di economia più larga, più circolare, possiamo creare energia al Sud, possiamo portare turismo lì da tutto il mondo? Serve, però, una creatività culturale».
Quanto è importante un patto tra pubblico e privati per il Sud?
«È fondamentale, perché l’Italia per essere unita deve puntare sulle proprie differenze: un Nord legato alla Mitteleuropa, un Sud legato al centro del Mediterraneo».