Vita Chiesa

Mediterraneo: trasformare il dolore in speranza

Presentato oggi a Roma il progetto “Prendersi cura – Una famiglia per ogni comunità”. A promuoverlo sono il Consiglio dei Giovani del Mediterraneo, dalla Rete Mare Nostrum e dalla fondazione Giorgio La Pira, in “continuità allo spirito che ha animato gli incontri dei vescovi di Bari e Firenze”

Patrizia Giunti, presidente della fondazione La Pira

“Il Papa chiede di trasformare i segni dei tempi, in segni di speranza. I segni dei tempi sono quelli di un Mediterraneo lacerato da discordie e da conflitti. Abitare questo tempo con la cura significa trasformare ciò che altrimenti sarebbe un motivo di dolore, in un motivo di speranza che comincia da noi”.

Così mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ha presentato il progetto “Prendersi cura – Una famiglia per ogni comunità”, lanciato giovedì 30 gennaio a Roma dal Consiglio dei Giovani del Mediterraneo, dalla Rete Mare Nostrum e dalla Fondazione Giorgio La Pira, in “continuità allo spirito che ha animato gli incontri dei vescovi di Bari e Firenze”.

“Un’iniziativa – ha aggiunto il segretario generale della Cei – che nel contesto storico in cui viviamo e nel contesto ecclesiale del Giubileo, è davvero un conforto, una di quelle carezze di misericordia che legittimano la speranza”.

“Il Papa – ha proseguito Baturi – richiamando il tema della speranza richiama il tema della costruzione del futuro”. “Senza speranza o perché si è troppo amareggiati o perché si è troppo presuntuosi, non c’è costruzione di futuro. E’ necessario sempre guardare la speranza, ritenendo possibile che il proprio desiderio di bene possa realizzarsi”. Inoltre, “non c’è speranza di bene che non comprenda anche gli altri”. In questo senso la speranza è strettamente connessa all’amore, perché “chi ama, spera. E come l’amore è vivere per gli altri, la speranza esige una condivisione”. “Prendersi cura è una cosa straordinaria in questo momento in cui spesso lamentiamo violenza, indifferenza e incuria. Prendersi cura significa osservare il dolore dell’altro e non voltarsi indietro. Significa accompagnare l’altro nel suo cammino”.

A presentare nei dettagli l’iniziativa sono state Tina Hamalaya e Nicholle Salerno, rispettivamente segretaria e delegata della Cei al Consiglio dei Giovani del Mediterraneo. Il progetto – hanno spiegato – viene proposto alle singole Conferenze Episcopali e Patriarcati. Si comincia con un incontro dei giovani con i presidenti delle loro Conferenze episcopali che a loro volta lo faranno conoscere alle lor diocesi e realtà periferiche. Si costituisce in loco un gruppo di persone con lo scopo di fare il punto sulle realtà di povertà, disagio ed emarginazioni presenti; si passa infine alla fase più operativa con l’individuazione delle azioni che si vuole avviare. Ogni progetto sarà quindi inviato entro la data del 31 marzo 2025 alla segreteria generale del Consiglio dei giovani del Mediterraneo.

Il progetto è rivolto in modo particolare a beneficio di emigranti, rifugiati, richiedenti asilo ma, se ritenuto utile e praticabile, lo si può estendere a tutte quelle situazioni di disagio e criticità che vedono coinvolti senza fissa dimora, famiglie in condizioni di disagio, madri in difficoltà, donne esposte alla tratta, giovani: “tutte quelle situazioni di fragilità e di condizioni di vita drammatiche, che con numeri sempre più preoccupanti, caratterizzano purtroppo la nostra società”. Ogni Chiesa, diocesi, realtà promotrice poi lo potrà “declinare” in relazione alle varie e talvolta diversissime situazioni locali. Si sono già avviate idee e gemellaggi. Come quella – ha raccontato Nicholle – tra la diocesi di Brindisi – città che si affaccia al Mediterraneo e con una lunga storia di accoglienza – e Beirut con il vicariato apostolico dei Latini, volto di un Libano, terra di migrazioni.  I giovani chiedono alle Chiese del Mediterraneo di mettere l’accoglienza e la solidarietà al “centro dell’impegno giubilare”, e di “essere disponibili a dare una mano, a curare le ferite di chi ha bisogno”.  Patrizia Giunti, presidente della Fondazione Giorgio La Pira, ha ricordato il pensiero dello statista fiorentino sul “ruolo strategico” del Mediterraneo. “Il Mediterraneo – ha detto – è un moltiplicatore di effetti. E dunque, un Mediterraneo pacificato è un Mediterraneo che veicola nei tre continenti un modello di pace. Ma un Mediterraneo, miccia sempre accesa, è un veicolo di instabilità per l’intero pianeta”.