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Medio Oriente, due debolezze al potere

di Romanello Cantini Le speranze alimentate negli ultimi mesi dal ritiro degli israeliani da Gaza si sono molto raffreddate in queste settimane. Dopo l’abbandono di tutti gli insediamenti nella striscia, sono esplose a Gaza manifestazioni di odio e di anarchia con l’incendio delle sinagoghe ormai deserte, i sequestri di persona, gli sconti armati fra le diverse milizie, l’irruzione in Parlamento dei poliziotti palestinesi e, infine, le dimissioni del primo ministro Abu Mazen.

Dalla sponda opposta Sharon ha ripreso a bombardare la striscia di Gaza in risposta ad alcuni missili lanciati da Hamas sulla Cisgiordania ed ha riaperto la caccia ai leader delle organizzazioni terroristiche con gli arresti in massa e anche con l’eliminazione fisica.

In realtà, sia nel campo israeliano sia in quello palestinese, si confrontano ormai due debolezze al potere. Sharon è sopravvissuto per appena un pugno di voti all’offensiva del suo compagno di partito Netanyahu e, in ogni caso, dovrà affrontare la sfida di questo pericoloso concorrente alle primarie di primavera.

Abu Mazen, di fronte al gruppo di Hamas che sembra ormai poter contare su un 30% di sostegno fra la popolazione palestinese in Cisgiordania e, forse, addirittura sulla maggioranza nella striscia di Gaza, è impotente ad affrontare con la forza la organizzazione estremistica e debole nel cercare di ammansirla con il dialogo. Il ritiro di Sharon da Gaza ha segnato una svolta politica in senso moderato e centrista all’interno di Israele ed ha riabilitato la figura dell’anziano leader sul piano internazionale.

Ma il primo strappo alla colonizzazione israeliana, condotto sotto forma di un gesto unilaterale senza coinvolgere nella trattativa la controparte palestinese, ha tolto ad Abu Mazen qualsiasi merito in quello che invece poteva apparire il suo primo importante successo diplomatico e rafforzare il suo traballante prestigio.

Al contrario la ritirata israeliana da Gaza ha potuto così essere sfruttata maliziosamente da Hamas che ha cercato di propagandarla come la vittoria della propria strategia intransigente e terroristica.

Nella striscia di Gaza è ormai in atto una prova di forza intorno al potere locale fra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Sullo sfondo c’è l’appuntamento delle elezioni legislative di gennaio prossimo a cui Hamas si presenta per la prima volta dopo aver boicottato le ultime elezioni di 11 anni fa.

Hamas porta sulle spalle la responsabilità di almeno 50 attentati terroristici negli ultimi 6 anni, ma anche il peso dell’assassinio di più di 20 dei sui capi nello stesso periodo. Incerta fra la tregua e la vendetta sa di non poter essere disarmata con la forza, come vorrebbe Sharon, senza una guerra civile fra palestinesi.

D’altra parte anche la richiesta israeliana di escludere Hamas dalle elezioni va incontro ad una contraddizione tutt’altro che nuova nel mondo islamico a cui, da un lato, si chiede democrazia e, dall’altro, si esige l’esclusione dalle elezioni delle organizzazioni estremistiche quando godono di un consenso troppo grande fra la popolazione.La strategia di Abu Mazen di cercare di addomesticare l’estremismo e il fondamentalismo strisciante di Hamas attraverso la immissione di questa forza dentro il dibattito all’interno delle istituzioni palestinesi è certamente azzardata, ma anche senza molte altre alternative praticabili.

Purché, da parte di Israele e della Comunità internazionale ci sia la consapevolezza di voler rafforzare Abu Mazen o chi gli succederà attraverso i risultati concreti di un negoziato e anche attraverso un sostegno materiale, nonostante il cattivo uso che di questo ultimo aiuto è stato fatto al tempo di Arafat.