Toscana

Medici di famiglia, la riforma non risolve le criticità

La bozza della legge nazionale propone un modello ibrido, dove i professionisti diventano dipendenti per parte della loro attività, con ore dedicate alle Case di comunità e ai propri studi. Necessario riorganizzare il settore ma i medici esprimono preoccupazioni

Ospedale
Ospedale

Da liberi professionisti convenzionati a personale dipendente, alternando la propria attività tra le strutture pubbliche e i propri ambulatori. È questo quanto prevede la bozza della riforma nazionale che interessa la professione dei medici di medicina generale. Una riorganizzazione che vedrebbe i medici di famiglia disponibili per 18 delle 38 ore lavorative settimanali nelle future Case di comunità con le restanti 20 ore per i propri studi. La bozza allo studio prevede inoltre la possibilità di scelta per gli attuali dottori in servizio di mantenere la libera professione o meno, con invece i nuovi medici che si affacciano al mondo del lavoro che diventeranno dipendenti del Sistema sanitario nazionale.

Ma cosa ne pensano i diretti interessati di questa possibile riforma della Medicina generale? La risposta è abbastanza eloquente: le criticità da affrontare sono ben altre, a partire dal numero sempre più basso di dottori e la forte mancanza di personale non sanitario che li affianchi. E la vicinanza dei medici nei territori più disagiati potrebbe risentirne in negativo. «Sono queste le argomentazioni a favore e contro la riforma che abbiamo sul tavolo, da una parte ci dicono che con la riorganizzazione semplifichiamo tutto ma dall’altra rischiamo di far venire meno quell’organizzazione capillare e lo stretto rapporto medico – paziente a cui i cittadini hanno dimostrato di essere molto attaccati – commenta il dottor Claudio Cricelli, presidente emerito Simg, Società Italiana di medicina generale -. In realtà non si sta affrontando il vero problema di fondo: comunque si risolva la questione, che molto probabilmente propenderà a una ripartizione equilibrata dell’attività del medico di famiglia, ci vuole personale. A livello europeo l’Italia è tra i Paesi che hanno una Medicina generale con minor personale sanitario a disposizione. Un dottore qua da noi ha in carico 1.500 pazienti, una gestione che spesso e volentieri ricade sulle spalle di un’unica persona che non ha intorno uno staff numericamente adeguato che possa occuparsi di questioni amministrative, burocratiche o di prestazioni ordinarie. Parliamo quindi di figure come infermieri, oss e segreterie, mancano perché con i loro stipendi i medici non hanno abbastanza margine per dotare i loro studi di queste professionalità. E teniamo anche conto che se i dottori dovranno dividersi tra studi e strutture, i cittadini si ritroveranno per alcuni servizi a dover fare chilometri per essere visitati nelle Case di comunità da un medico che prima avevano sotto casa».

Un aspetto di fondamentale importanza secondo Cricelli è rappresentato dalle risorse. «Abbiamo le risorse necessarie per attuare questo modello e dotare queste realtà pubbliche di pianta organica, nonché delle necessarie manutenzioni e apparecchiature? – si chiede il dottor Cricelli – Parliamo di una riforma che urta contro questioni che conosciamo, la carenza nazionale di risorse per la sanità e la perdita di potere d’acquisto a causa dell’inflazione, ne segue che le prestazioni sanitarie vanno per forza di cose a diminuire. Un percorso che sarebbe stato opportuno provare in maniera sperimentale per verificare la risposta dei territori. Per le Case di comunità parliamo di servizi aggiuntivi che potranno essere erogati in maniera puntuale solo se i team medici verranno affiancati da un adeguato numero di personale e un’organizzazione, anche digitale, che supportino davvero i dottori di famiglia».

Ma questo possibile passaggio da professionisti in convenzione a dipendenti è davvero necessario? Secondo il dottor Alessandro Bonci, segretario provinciale Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia) Firenze si tratta di un falso problema. «Mi permetta una battuta, se mi trasformano a dipendente finalmente mi riposo un po’ – dichiara – A mio avviso non comporterà alcun vantaggio. La forza del medico di famiglia è lo stretto rapporto fiduciario con i propri pazienti e le loro famiglie, che può durare anche decenni. Immaginando di trasportare questo legame con medici dipendenti, si rischia di comprometterlo e i tempi di cura si allungano in quanto un medico di turno che incontra per la prima o seconda volta un paziente deve necessariamente approfondire tutta la sua storia clinica».

A tal proposito il dottor Bonci evidenzia come in Toscana da sempre ci sia un rapporto di grande collaborazione tra i medici di famiglia e il Sistema sanitario. «Le Case della salute, partite ormai dieci anni fa, sono state da subito popolate da dottori di medicina generale che hanno mantenuto aperti anche i loro ambulatori di prossimità – sottolinea – Da una parte quindi, dove possibile, hanno prestato servizio in ambienti dotati di personale per garantire un certo tipo di prestazioni, lavorando anche in team, e oggi lo dimostra l’esperienza dei Pir, ma dall’altra hanno continuato a fare attività nelle periferie e negli studi secondari, senza andare a chiuderli. Oggi rimane il problema della carenza di medici e di personale sanitario».

Dunque anche la sanità territoriale non è indenne da queste dinamiche. «Una mancanza che da anni riscontriamo in Toscana in ambito ospedaliero, come dimostra la chiusura di diversi pronto soccorso, serve quindi una volontà politica e amministrativa per rinforzare la sanità territoriale che è una ‘trincea’ a difesa dei presidi ma che si sta svuotando sempre di più. Prima il gran numero di medici di famiglia permetteva di coprire anche le aree più impervie, dove magari questi professionisti erano cresciuti. Oggi non è più così: il lavoro ha carichi sempre più pesanti e complessi, con la professione diventata meno appetibile. Il passaggio da professionisti in convenzione a dipendenti non farà che complicare ulteriormente la situazione. La coperta sarà sempre più corta perché perde quella elasticità di servizio garantita tramite i liberi professionisti. La storia della Toscana parla da sé: la sanità territoriale si può fare anche a rapporto di convenzione ma serve incentivare la formazione di nuovi medici, di personale sanitario e, soprattutto, di strutture che coprano le spalle dei dottori come ad esempio una rete digitale che faciliti il recupero della diagnostica di ogni singolo paziente».