Italia
Mcl e la crisi del Paese: «Per i giovani servono riforme»
Come ormai da tradizione per il Movimento Cristiano Lavoratori, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, si è tenuto a Senigallia il seminario nazionale di studi e formazione sul tema «Un movimento in cammino. Trasmettere la speranza, confortare con la presenza, sostenere con l’aiuto concreto», che si inserisce nel percorso indicato da Papa Francesco durante l’udienza con Mcl dello scorso gennaio. Si è parlato soprattutto di lavoro e di giovani, due realtà che nel nostro Paese sono sempre più lontane e faticano ad avvicinarsi. Nel corso del seminario ne hanno discusso esperti del mondo del lavoro, del panorama ecclesiale, accademico e politico, riuniti da Mcl a Senigallia per costruire nuovi percorsi produttivi che possano fondere le necessità del profitto con il bene primario della centralità della persona. Ne abbiamo parlato con Carlo Costalli, presidente nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori.
Presidente Costalli, il Pil è fermo, l’occupazione non accenna a crescere, anzi risulta bloccata, e quella giovanile è addirittura in calo. Stanno funzionando le riforme del Governo?
«Le riforme messe in atto dal Governo mi soddisfano poco. Nel senso che c’è stato certamente un passo in avanti per quanto riguarda il mercato del lavoro, ma i risultati concreti non sono arrivati. Lo dice l’Istat, che segnala come l’occupazione giovanile sia in calo e siano aumentati i licenziamenti. Inoltre anche sul Job acts sono state dette molte cose vere ma anche molte inesattezze: i risultati sono volati nel primo anno, ma quando si è drogato il mercato del lavoro. In conclusione, non siamo di fronte a un fallimento ma le riforme restano deludenti».
Negli ultimi tempi si assiste a un ridimensionamento del ruolo dei corpi intermedi, considerati spesso come degli avversari del Governo. Condivide questa lettura?
«Questo è un tema che mi sta molto a cuore. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un sistematico tentativo di emarginazione dei corpi intermedi, e questa è una logica che ha attraversato tutti gli schieramenti politici. I sindacati, così come tante realtà dell’associazionismo, sono stati considerati come dei “gufi” a difesa della conservazione. Ma bisogna ammettere che anche i corpi intermedi devono iniziare a fare un po’ di autocritica, sforzandosi di andare più incontro ai cambiamenti della società».
Durante i lavori del seminario, monsignor Filippo Santoro ha evidenziato la necessità di una strategia per rilanciare l’occupazione nel Meridione. E’ d’accordo?
«Il tema del Mezzogiorno è molto importante, considerato anche che il nostro movimento è molto più presente e radicato al Sud piuttosto che al Nord. Purtroppo, l’errore commesso dagli ultimi governi è stato quello di non creare una strategia complessiva, che mettesse al centro l’occupazione e lo sviluppo. E adesso al Sud assistiamo a una mancanza di investimenti che va di pari passo con una mancanza di infrastrutture. Ma non può esserci un’Italia a due velocità, con il Nord che dà segnali di ripresa e il Sud dove esistono ancora piaghe come il caporalato».
I dati dell’Istat hanno evidenziato un nuovo boom della disoccupazione giovanile con il primo calo degli occupati dopo quattro mesi. Si fa abbastanza per i giovani in Italia?
«Purtroppo no, e in questo senso i dati Istat parlano chiaro. I giovani sono il futuro del nostro Paese e vanno accompagnati in maniera concreta verso un maggiore protagonismo. Ma servono delle riforme che li mettano al centro, e soprattutto serve una classe politica in grado di ascoltarli».
Il seminario nazionale di Mcl di Senigallia arriva subito dopo quello di Confindustria. È soddisfatto da quanto è stato discusso a Cernobbio?
«Ho trovato francamente abbastanza contraddittorio il comportamento del presidente del Consiglio Renzi, che prima ha criticato aspramente gli industriali e poi è andato da loro in ginocchio per strappare qualche consenso. In generale, il meeting di Cernobbio mi ha deluso perché non si è discusso per niente né di lavoro né di contratti: è venuta fuori una visione del Paese molto parziale, che tiene conto solo delle aziende».