Cultura & Società
Mauro, il viaggio dell’anima
Certo che per avere poca fede ne hai collezionati di santuari
«Diciamo che fare questo tipo di pellegrinaggi mi aiuta ad avere fede. Non mi ritengo certo un modello per qualcuno. Fare queste lunghe pedalate in solitario ti porta al centro di te stesso, in un certo senso il viaggio lo fai anche dentro di te, riesci a crearti una tua profonda intimità e Dio te lo senti vicino. Nelle mille strade che ti trovi a percorrere a contatto con la natura senti la sua presenza, ti si insinua dentro il desiderio di stare con lui».
Ti ha aiutato la fede per superare la tua malattia?
«Negli ultimi anni è stata una componente fondamentale. Come per tutti i diabetici all’inizio non è stato facile: ho scoperto la malattia quando avevo 11 anni, ed è stato traumatico. Non la volevo accettare, facevo finta di non averla. Sai, non è facile per un ragazzino di quell’età farsi tutte quelle iniezioni al giorno e poi non poter far questo e quell’altro perché altrimenti puoi star male. Il rischio, come purtroppo succede spesso, è di isolarsi, rinchiudersi in se stessi ed entrare in depressione».
E invece?
«Passato il momento critico dell’adolescenza ho capito che dobbiamo accettarci così come siamo, perché nulla viene a caso. Quando vado in bicicletta spesso capitano degli imprevisti, e ciò che conta è come li affronti: per esempio in quest’ultimo pellegrinaggio nei tre giorni in Francia ho dovuto fare i conti con un vento pazzesco, in pianura non riuscivo a fare più di 9-10 chilometri all’ora, è lì che il limite lo guardi in faccia, diventa come un compagno di viaggio con cui fare i conti».
È stato così anche per la tua malattia?
«Sì, la malattia la accetti quando capisci che non è un corpo estraneo a te ma è una parte di te che richiede cura, un compagno di viaggio a cui chiedere ogni tanto come stai per non farti giocare brutti scherzi. Ma soprattutto quando capisci che non è la malattia ad impedirti di credere nei tuoi sogni».
Non rischi però, agli occhi degli altri malati, di apparire un po’ come un superman irraggiungibile?
«Il messaggio che voglio dare è proprio il contrario. Ho partecipato a diversi congressi di medici ed ho sempre detto che non voglio dare l’impressione di essere un marziano agli occhi di chi è malato come me. Queste pedalate per l’Italia e l’Europa non le ho organizzate da solo come per un capriccio di un bambino. Hanno l’appoggio di associazioni come l’Aniad (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici), di enti come l’Ausl 12 di Viareggio e il Comune di Massarosa e anche della casa farmaceutica Novo Nordisk che ha sponsorizzato quest’ultimo pellegrinaggio. E nascono proprio con uno scopo umanitario: far capire ai malati di diabete, ma non solo, che imparando a convivere con la propria malattia, imparando a conoscere i propri limiti, questi non ti impediscono di vivere e soprattutto non ti impediscono di coltivare le tue passioni. Come dice il proverbio? Le vie del Signore sono infinite».