Cultura & Società
Mattonelle sapienti per ogni occasione
È un esempio di tante mattonelle d’avvertimenti e di consigli: spesso vi si trovano frasi profonde che fanno pensare, riflessioni che svelano un aspetto insospettato del mondo. Le iscrizioni sulle mattonelle sono un uso antichissimo e si ritrovano un po’ dovunque: dalle taverne pompeiane agli scavi di altre città scomparse. Il periodo di splendore è finito con i mercati in cui i banchi esponevano varie riflessioni e massime: ognuno prendeva per quattro soldi quella che faceva al caso suo e se l’appendeva dove gli serviva. Frasi anche serie, ma sempre spiritose, ben congegnate, nelle quali rifulge soprattutto l’agudeza. Spesso sono cose arcaiche che si sono tramandate fino a noi, passando di fornace in fornace, di figulo in figulo.
Il pensiero, l’ammonimento, il consiglio, la riflessione, l’avvertimento, si trovano scritti anche sopra un oggetto artistico, su una superficie smaltata, ovvero intagliati su un legno, stampati su un cartiglio. La sede propria, più usata, è una ceramica che in genere prende forma di mattonella quadra o rettangolare, da appendere, o da murare. Si differenza dallo statuto che ha forma verticale e ha come caratteristica l’elencazione, come il seguente.
Lo stato felice è quello dove:
Altri oggetti ospitano oggi scritte di vario argomento: le cartoline si sono impadronite di questo genere di comunicazione ed è assai comodo comunicare: una persona lontana riceve un messaggio, un consiglio senza che venga espresso direttamente, trovandosi sul verso del cartoncino. Ci sono anche le magliette, sulle quali appaiono frasi e messaggi d’ogni genere. Non è comunque cosa nuova. Il Muratori riferisce che già Castruccio Castracani, signore di Lucca, usava andare in giro con due motti ricamati sul petto e sulle spalle: davanti stava scritto: È quello che Dio vuole, mentre di dietro si leggeva: È quello che Dio vorrà. Cosa intendesse comunicare con queste scritte è rimasto un enigma: poteva anche alludere al destino dei cani che gli sarebbero capitato a tiro. Col Rinascimento si diffuse la moda di portare scritti sulle maniche motti e imprese che avevano funzione d’ornamento, di esternazione di una condotta di vita e anche di comunicazione segreta tra innamorati e amanti, quando le occasioni d’incontrarsi e parlare erano più rare.
L’uso si è trasformato, ma non è stato travolto dalla civiltà industriale, segno che questa comunicazione individuale si adatta bene anche al nostro tempo, anzi è un ottimo mezzo col quale l’individuo può far sentire la sua voce flebile in mezzo a quelle tonanti dei media. Oggi è tornato in auge e una scritta si pone in ufficio, accanto alla scrivania e contiene la filosofia spicciola della vita, osservazioni, arguzie, detti famosi, e anche messaggi più complessi, mediante i quali si vuol manifestare il proprio modo di essere o di pensare. Di solito vuol rappresentare il nocciolo del pensiero di chi lo espone: qualcosa come il suo motto, il suo blasone, quando non è un avvertimento al prossimo riguardo ai suoi eventuali comportamenti.
Tutt’altra cosa lo slogan che ricorda l’azione di una macchina, continua, cieca, inesorabile: esso parte da un’intenzione esterna di penetrare nella mente altrui con forza, senza far appello a un consenso, a una riflessione, a un coinvolgimento.
Per questo la filosofia delle mattonelle si pone nel campo dei perdenti, perché non grida, non alza barricate, non presume né impone. Lo slogan dilaga e sommerge queste flebili voci, ma per poco: le scritte sui cocci durano da secoli, da millenni, gli slogan tramontano nel volgere di pochi anni.