Vita Chiesa

Matrimonio, scelta difficile. E le convivenze aumentano

di Daniela SchipaMatrimonio o convivenza? Una scelta che oggi è diventata difficile: sono sempre di più le coppie che guardano con timore all’unione matrimoniale, e finiscono per preferire, almeno temporaneamente, altri modelli di vita insieme. Sabato 29 ottobre al convitto della Calza, a Firenze, operatori, esperti, coppie si sono riuniti in un convegno intitolato: «La responsabilità di una scelta. Come amarsi nel terzo millennio».

L’intento dell’appuntamento, organizzato dalla federazione toscana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana e dal Centro Famiglia della Diocesi di Firenze, è stato quello di conoscere e approfondire le dinamiche psicologiche e sociali che aiutano ad attuare scelte consapevoli e favoriscono la capacità di assumersi responsabilità. Padre Francesco Romano docente di diritto matrimoniale alla Facoltà Teologica di Roma ha introdotto la tematica del matrimonio e della convivenza. Nel ventesimo secolo, ha spiegato padre Romano, il matrimonio si è trovato in un contesto di grandi mutamenti. L’emancipazione della donna che cerca di realizzarsi professionalmente, la mobilità territoriale che provoca uno sradicamento di massa, il rifiuto di Dio (la secolarizzazione), una frattura tra il valore religioso e i valori umani dell’amore e della sessualità. Il matrimonio, svalutato, è stato sostituito da un’accezione naturalistica, istintiva del rapporto di coppia: c’è un esasperato tentativo di ricerca di nuovi modelli di vita da legittimare come soluzione alternativa alla vita coniugale.

«Questo sacramento invece – sottolinea padre Romano – è perfettamente conforme alle esigenze della natura umana in quanto voluto da Dio creatore dell’uomo e della donna. L’unione matrimoniale è immagine del Dio trino e unico, e il suo valore è stato riconfermato da Gesù quando rinvia al racconto della creazione della prima coppia per riaffermare l’unità e l’indissolubilità del vincolo (Mt,19). L’amore costante è una necessità profonda dell’uomo». Il matrimonio monogamico e indissolubile, dunque, secondo padre Romano risponde a questo bisogno naturale perché l’uomo e la donna sono chiamati alla comunione nel reciproco dono di sé e ad attualizzare il mistero pasquale dove Cristo si rivela oblativo, incondizionato, irrevocabile. Gli sposi diventando una sola carne, ripetono in sé l’amore di Cristo per la Chiesa.

Padre Romano, perché scegliere il matrimonio?

«Per i credenti alla base ci sono innanzitutto dei presupposti di fede che portano a questo tipo di decisione. Ma ci sono anche altre ragioni. La famiglia è la prima cellula della Chiesa e della società civile, come tale deve garantire una stabilità nel tempo, il matrimonio come sacramento indissolubile e irrevocabile offre la possibilità di un “per sempre”, se vissuto responsabilmente».

Perché secondo lei alcuni giovani preferiscono convivere? Cosa ne pensa la Chiesa della convivenza?

«Le motivazioni dichiarate per questo tipo di decisione sono economiche, in realtà alla base c’è un’insicurezza affettiva. Non fondare il proprio legame su basi stabili significa poter revocare in ogni momento il rapporto. La convivenza è immorale, la Chiesa la disapprova e contempla come unico rapporto di convivenza quello coniugale all’interno del matrimonio».

Come valuta la convivenza pre-matrimoniale?

«L’affetto non si può mettere alla prova, è aperto a qualsiasi rischio».

Come si può ridare valenza al matrimonio?

«Innanzitutto attraverso delle politiche di supporto familiare, e con una rieducazione alla stabilità affettiva che deve iniziare da parte degli agenti socializzanti: scuola, famiglia, parrocchia, da attuare nei confronti dei ragazzi fin dall’adolescenza».

Il convegnoSilvia Cecchi, matrimonialista, ha mostrato i cambiamenti legislativi nel corso degli anni per quanto concerne diritti e doveri all’interno del matrimonio e l’affacciarsi della convivenza all’interno di quest’ambito. Nell’articolo 143 della Costituzione sono contemplati la parità tra i coniugi nei diritti-doveri all’interno della famiglia, la reciproca dedizione fisica e spirituale e la fedeltà sessuale. Coabitazione, contribuzione alla crescita dei figli sono altri elementi su cui si fonda il matrimonio. La convivenza invece è caratterizzata dall’assenza di un riconoscimento sociale. Per la legge i conviventi hanno diritti ma non sono contemplati doveri; col subentrare dei figli questi acquistano una rilevanza giuridica maggiore, da rapporto di fatto si trasforma in rapporto di diritto.Il matrimonio è sempre più una scelta rimandata nel tempo: su questa condizione è intervenuta la professoressa Roberta Bovini, docente di sociologia della persona all’Università Cattolica di Milano. Le società attuali danno grandissimi margini di libertà: ciò comporta un costo, l’aumento delle incertezze individuali. Si diventa adulti grazie a un processo complesso: il termine degli studi e l’entrata nel mondo del lavoro sono marcatori di passaggio e la tendenza diffusa in particolare in Italia è quella di non uscire di casa fino all’età media di 30 anni. La convivenza fino ad oggi in Italia è vissuta come un momento di prova, non ancora come alternativa al matrimonio. Il fidanzamento (sempre secondo i rilevamenti Istat) si prolunga in media a cinque anni, e molte coppie convivono per un periodo prima di sposarsi.

Nell’ambito del convegno su matrimonio e convivenza, in una tavola rotonda sono emerse varie testimonianze. Tra i vari interventi quello di mons. Stefano Manetti rettore del seminario di Firenze, questi è partito da una domanda: «Come mai il giovane, che ha tutte le caratteristiche interiori, tipiche dell’età giovanile, per fare scelte radicali, oggi ne fa sempre meno e con grande fatica?». Don Manetti ha preso in considerazione un aspetto della cultura in cui viviamo e in cui i giovani crescono, e precisamente il problema della verità. L’eclissarsi della verità oggettiva e il radicarsi delle verità soggettive sono fenomeni che inducono chiunque voglia prendere decisioni per la vita ad assumere il metodo della «navigazione a vista». Pur avendo il ragazzo le potenzialità per prendere decisioni importanti e durature, il contesto culturale in cui vive non lo aiuta a sviluppare questa capacità ma piuttosto la mortifica. Il criterio orientativo delle scelte diventano l’utilità e la convenienza.

Lo psicologo Piergiorgio Motrici, del consultorio «il Campuccio» di Firenze, ha offerto un contributo riguardante i cosiddetti «giovani-adulti»: persone sopra i 30 anni, affetti dalla sindrome di Peter Pan, professionalmente realizzati fanno fatica a prendere una decisione definitiva in campo affettivo. La sindrome dei «forever young» significa esplorazione del mondo affettivo con una serie di storie che però dovrebbero sfociare, alla fine, in una scelta definitiva responsabile. La difficoltà maggiore d’oggi è quella di uscire dalle proprie certezze, per questo spesso si attua la convivenza come momento di messa alla prova.

Tra i racconti di coppie sposate, quello di Luchini della segreteria «famiglie Nuove» del movimento dei focolari riporta la centralità del matrimonio come luogo della fedeltà, della capacità di amare per primi, della riconciliazione, del perdono. La coppia non si può esaurire in se stessa, deve aprirsi al mondo e la scelta del matrimonio deve essere una decisione ferma: non è giusto rimanere fidanzati per moltissimi anni.

Patrizia Giannoni, psicologa del consultorio la famiglia di Lucca, ha mostrato la bellezza di un progetto chiamato «ponteggio in allestimento», un gruppo di formazione delle coppie. Stefano Giorgetti, che segue i capi scout, ha richiamato l’importanza di una coerenza di vita per un cristiano. Un cattolico non dovrebbe avere dubbi su quale scelta compiere tra matrimonio e convivenza, invece accade che talvolta la seconda sia considerata una possibile strada. Ilaria Balboni poi coraggiosamente ha manifestato la sua decisione di dedicarsi totalmente a essere madre di tre figli e coinvolta nel volontariato. La Balboni spiegando l’organizzazione nell’Agesci Firenze ovest ha illustrato come i ragazzi vengono educati a prendere responsabilità: 8 anni è il momento di inizio cammino, i lupetti fanno delle promesse che devono mantenere, il percorso scout ha una conclusione che si attua nel documento di partenza all’età di 21 anni, in questo documento si possono esprimere scelte di fede, di impegno politico o di servizio. I ragazzi escono per un anno circa dal gruppo e devono realizzare gli obiettivi posti. È un modo per imparare a tenere fede agli impegni presi.

Graziano Grassoni, presidente della confederazione italiana consultori di ispirazione cristiana ha concluso il convegno così: «dobbiamo riconquistare la fiducia nella santità degli sposi». È proprio su questo che vanno concentrate le energie.

E il fidanzamento non va più di moda«Un termine che non viene utilizzato»In riferimento alla parola «fidanzamento» interviene Wilma Binda docente di psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano: «è un termine che non viene più utilizzato, i giovani coabitano spontaneamente, in una modalità che fa cadere la valenza del dono reciproco e al suo posto sorge l’intento di soddisfare attraverso l’altro il proprio piacere, senza impegni, né progetti di coppia, né responsabilità reciproche. In un mondo di rischi la famiglia d’origine è un luogo sicuro e affidabile nel quale c’è poco conflitto, una base sulla quale porre l’esperienza del mondo adulto. Preoccupato del lavoro e della propria riuscita professionale, il giovane vede solo sullo sfondo la possibilità di una realizzazione affettiva. Per i “sempre giovani”, più passa il tempo più è difficile compiere scelte definitive in campo affettivo. Inoltre da alcune ricerche è emersa la scarsa opposizione dei genitori nei confronti della convivenza, in quanto questa modalità di vita è percepita come stato transizionale che può anche comportare eventuali ripensamenti e un ritorno a casa».Cosa comporta, tutto questo, nel rapporto di coppia? Secondo la psicologa Binda, «molti matrimoni oggi falliscono a causa della famiglia di origine, un attaccamento forte a quest’ultima porta un’incapacità dei figli di assumersi oneri, responsabilità, così molti convivono come sperimentazione, alcuni si sposano per prova. Manca la capacità di scelte radicali prese con coscienza». La testimonianzaPerche sposarsi? «Così Dioentra nel rapporto di coppia»Alla domanda «perché sposarsi?» risponde Giuseppe Cuminatto, operatore in un consultorio familiare e coordinatore di una delle tavole rotonde al convegno di sabato scorso. «Bisogna sposarsi come credente perché è un sacramento che ti dà la grazia di far entrare Dio nel rapporto, il Signore sostiene quest’unione, poi è un impegno pubblico che mostra il coraggio di assumersi le responsabilità fino in fondo verso la persona amata e verso i figli. La convivenza è uno stato di comodo, non induce ad un impegno, è un discorso privato. Il matrimonio sta invece nell’amore e nell’apertura verso l’esterno. Inoltre uno studio dello psicologo piemontese Viana ha affermato che la percentuale dei divorzi di coppie che hanno convissuto prima di sposarsi è superiore rispetto a chi si sposa dopo un regolare iter di fidanzamento».

Cuminatto è anche responsabile dei corsi prematrimoniali. Cosa pensa dei giovani che frequentano questi corsi? «Le coppie che frequentano i corsi sono variegate, da chi convive e decide di sposarsi a chi decide di compiere questo passo per fare contento i genitori, alcuni dalla Prima Comunione non venivano in Chiesa. Io e mia moglie viviamo questi corsi come possibilità per evangelizzare, per far riscoprire il volto della Chiesa come Madre che accoglie i suoi figli e trasmettere il senso del matrimonio, sacramento religioso e impegno sociale. È un’evangelizzazione particolare perché sono loro che vengono, non siamo noi che li andiamo a cercare».