Opinioni & Commenti
«Matrimoni» tra coppie gay, lo strappo dell’assessore
di Andrea Fagioli
Cristina Scaletti è una donna determinata. Fiorentina con doppia cittadinanza (italiana e francese per via della madre), 44 anni il 14 luglio (non è davvero poco per una italofrancese essere nata il giorno della presa della Bastiglia), sposata, due figli, sportiva (salto in alto), in quota all’Italia dei valori (Di Pietro), prima assessore comunale in Palazzo Vecchio a Firenze e poi regionale con delega a Cultura, turismo e commercio.
Cristina Scaletti è una donna sorridente, simpatica. Con noi di «Toscana Oggi» è stata molto disponibile quando le abbiamo presentato il progetto sulla Via Francigena. Dico questo, anche se c’entra poco, per far capire che non abbiamo nulla di preconcetto contro di lei, anzi: tutt’altro.
Dicevo all’inizio che Cristina Scaletti è una donna determinata. L’ha detto e l’ha fatto: sabato 7 luglio a Viareggio, al «Gay pride regionale», ha «celebrato» il matrimonio civile di un certo numero di coppie omosessuali (non si è capito se sette o dieci, forse undici). Lo ha fatto perché a suo giudizio, dal punto di vista dei diritti civili, siamo all’età della pietra. «In Italia dice lei siamo indietro anni luce rispetto agli altri Paesi europei: dovrebbe preoccuparci molto non solo lo spread economico, ma anche quello relativo ai diritti civili».
Ma il problema è che il suo strappo in avanti non è andato oltre la «carnevalata» (l’hanno definita così anche commentatori laici). Così come il corteo (anche in questo caso non si è capito quanti fossero i partecipanti: 5mila, mille… sicuramente molti meno dei 20 mila annunciati) è stato ancora una volta punteggiato da squallide «maschere» o presunte tali, che non hanno attenuato il trionfalismo di certi comunicati della Regione stile «Film Luce». Leggere per credere: «È stato innegabilmente un successo il primo Gay Pride toscano…, un corteo accolto festosamente da tutta la popolazione viareggina, famiglie e bambini in testa…».
Qualcuno, anche tra i nostri lettori, ci accusa di «sparare sentenze per difendere il proprio orticello senza volersi mettere al posto dell’altro» e di parlare «con fastidio di una sovraesposizione mediatica del tema». Ora ditemi se certe manifestazioni non confermano l’ostentazione di un fenomeno?
La nostra idea l’abbiamo espressa più volte, soprattutto negli ultimi tempi. Ribadisco qui che nessuno nega che certi temi e certi problemi si debbano affrontare, anche perché dove non arriva la legislazione rischia di arrivare la giurisprudenza. Eppoi molte delle questioni riguardano il diritto patrimoniale, con la conseguenza che alcuni problemi si possono già risolvere. A Lucio Dalla, di cui si è molto parlato in questi giorni, sarebbe bastato un testamento per indicare come suo erede Marco Alemanno. Ma per fare questo non si può minare il matrimonio: quando tutto è matrimonio, nulla è matrimonio. L’invocato «riconoscimento della dignità affettiva», ad esempio, non ha nulla a che vedere con il diritto. È solo un discorso ideologico.