Vita Chiesa

MATRIMONI ISLAMO-CRISTIANI, NOTA CEI: «L’ESPERIENZA INDUCE A SCONSIGLIARE QUESTI MATRIMONI»

Un invito alla “prudenza” e alla “fermezza” nel trattare casi di matrimoni tra una parte cattolica ed una musulmana arriva oggi dal presidente dei vescovi italiani, card. Camillo Ruini. “Le implicanze esistenziali ed ecclesiali di questa problematica suggeriscono prudenza e fermezza e richiedono una riaffermata consapevolezza dell’identità cristiana e della visione cattolica sul matrimonio e la famiglia, anche in ragione delle conseguenze che ne derivano sul piano religioso, sociale e del dialogo interreligioso”. E’ quanto si legge nella introduzione curata dallo stesso card. Ruini della nota “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia. Indicazioni della presidenza della conferenza episcopale italiana”, presentata questa mattina al convegno nazionale Cei dei delegati diocesani per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.

La nota – redatta da un gruppo interdisciplinare di esperti – è suddivisa in quattro parti nella quali si approfondiscono il contesto pastorale, la visione cristiana del matrimonio, l’itinerario di verifica e di preparazione, la celebrazione del matrimonio e l’accompagnamento familiare. A queste parti si aggiungono 4 appendici sulla natura dell’impedimento di “disparitas cultus”, sulla “shahada” (la professione di fede musulmana) e su alcuni elementi di conoscenza del matrimonio nell’Islam.

“Negli ultimi anni in Italia – scrive il card. Ruini – ha assunto una certa rilevanza la richiesta di celebrare nella forma religiosa il matrimonio fra una parte cattolica e una musulmana. Il fenomeno, determinato tra l’altro dalla tendenza di immigrati musulmani a trasferirsi nel nostro Paese e dal più generale aumento dei matrimoni interreligiosi, esige una specifica attenzione da parte della comunità cristiana e dei suoi pastori, anche al fine di individuare un indirizzo omogeneo nella verifica dei casi e nell’eventuale concessione della dispensa dall’impedimento dirimente di disparitas cultus che invalida il matrimonio fra un parte cattolica e una non battezzata”.

“Le coppie miste di cattolici e musulmani che intendono oggi formare una famiglia, alle difficoltà che incontra una qualsiasi altra coppia, devono aggiungere quelle connesse con le profonde diversità culturali e religiose”. Si apre con questo avvertimento la nota su “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia” presentata questa mattina. “L’esperienza – si legge nella nota – mostra come sia rilevante, per esempio, la scelta del luogo di residenza della futura coppia e la fondata previsione di restarvi nel futuro: lo stabilirsi in Italia, o comunque in Occidente, offre al vincolo matrimoniale (e alla parte cattolica in particolare) maggiori garanzie, che invece nella maggior parte dei casi vengono meno quando la coppia si trasferisce in un Paese islamico”.

“L’esperienza maturata negli anni recenti – afferma la nota della Cei – induce in linea generale a sconsigliare o comunque a non incoraggiare questi matrimoni”. La nota elenca tutta una serie di difficoltà: la “fragilità intrinseca di tali unioni, i delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e responsabile della propria fede cattolica da parte del coniuge battezzato e l’educazione religiosa dei figli, nonché la diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi, della patria potestà e degli aspetti patrimoniali ed ereditari, la differente visione del ruolo della donna, le interferenze dell’ambiente familiare d’origine”. Sono tutti elementi – scrive la nota – che costituiscono elementi che non possono essere sottovalutati né tanto meno ignorati che potrebbero suscitare gravi crisi di coppia, sino a condurla a fratture irreparabili”.

Nella parte della nota dedicata all’itinerario di verifica e di preparazione, si afferma che “non è prudente che la coppia si presenti al sacerdote nell’imminenza delle nozze o quando tutto è deciso” e che “il sacerdote che incontra la coppia abbia una certa conoscenza dell’islam, delle sue tradizioni, delle sue pratiche e della concezione islamica del matrimonio”. A questo fine “si dovrebbe individuare in ogni vicariato o almeno a livello diocesano un sacerdote esperto”. Si propongono anche una serie di domande da rivolgere ai fidanzati per verificare il grado di consapevolezza: “cosa sapete della religione dell’altro?”; “quale conoscenza avete dei vostri rispettivi Paesi?”; “quale educazione religiosa intendete dare ai figli?”.

La nota sottolinea inoltre che l’accompagnamento pastorale “non può limitarsi al periodo della preparazione al matrimonio, ma deve riguardare lo svolgersi della vita familiare, soprattutto in riferimento ai contrasti che potranno sorgere”. A questo riguardo, la nota mette in guardia da un pericolo: qualora venga deciso dalla coppia “il trasferimento in un Paese islamico, la parte cattolica – nella stragrande maggioranza dei casi, la donna – dovrà probabilmente affrontare notevoli difficoltà (dinamiche di vita di coppia, educazione dei figli e autorità su di loro, rapporto con la famiglia del marito, soggezione al diritto di ripudio unilaterale da parte del marito, accettazione sociale della poligamia, ecc)”.

Un’intera appendice del documento è dedicata alla “shahada”, la professione di fede musulmana. “Negli ordinamenti giuridici dei Paesi islamici – spiega la nota – spesso l’autorizzazione civile alla celebrazione presuppone l’emissione della shahada da parte del contraente non musulmano”, ossia della “professione di fede musulmana. “Non di rado, per aggirare l’ostacolo, il cattolico in questione pronuncia o sottoscrive la shahada, pensando di compiere una mera formalità”, ma in realtà “non si tratta di un mero adempimento burocratico ma di un vero e proprio abbandono formale della fede cattolica”.

Nel presentare ai delegati diocesani la nota, mons. Domenico Mogavero, sottosegretario della Cei, ha specificato che il documento era già stato pubblicato quest’anno nel mese di maggio. Da cosa nasce? Dal fatto – ha detto – che ”si è intensificato in modo massiccio l’immigrazione musulmana nel nostro Paese”. Qualche dato: secondo i dati riportati da uno studio di “Civiltà cattolica”, in Italia un terzo degli immigrati (pari al 32,4%) è di religione musulmana. Nel 1992, su un totale di 321.348 matrimoni, i matrimoni misti erano stati 8.600 (di cui 2.266 religiosi e 6.298 civili). Nel ‘97, il numero totale dei matrimoni diminuisce (277 mila, circa) ma aumenta il numero dei matrimoni misti che passano a 10.914. Dal ’92 al ’97, si passa pertanto dal 2,8% dei matrimoni misti al 3,9%. Secondo poi i dati Istat, nel 2005 i matrimoni misti sono stati oltre 19 mila. Le indicazioni della presidenza Cei – il cui termina, ha specificato Mogavero, indica “un certo livello impegnativo ma non attinge al valore vincolante” – nascono da due considerazioni. La prima è che “si ha una scarsissima conoscenza del mondo musulmano e del diritto che regola il matrimonio musulmano”. La seconda considerazione parte dal fatto che “in una materia così complessa non avere indicazioni rischia di determinare a livello delle diocesi una frammentazione di decisioni ed orientamenti” che può confondere le persone.Sir