Vita Chiesa
Matrimoni gay: passo avanti o passo indietro?
«Io – commenta il primo – sono contro la guerra ma avrei votato Bush perché almeno ha preso una chiara posizione contro i matrimoni dei gay…» L’altro chiede: «Ti hanno fatto qualcosa di male?» «No! non sopporto la loro presunzione, il loro orgoglio». «Posso darti ragione sul loro comportamento però sta di fatto che ciascuno deve essere libero di scegliere la propria vita».
Ascoltando mi rendo subito conto che quando è la libertà il punto di riferimento di ogni azione, scompare qualsiasi possibilità di giudizio. E oggi qualsiasi atteggiamento viene rivendicato come espressione di libertà individuale. Ma un genitore .- mi chiedo – può ragionare con lo stesso criterio? Se il figlio vuole stare fuori tutta la notte deve rispettare la sua libertà? Se poi addirittura vuole fare esperienze realmente pericolose?
«Libertà o non libertà, delle regole ci vogliono!» ribatte il primo. «Si! Ma chi stabilisce le regole?» insiste il secondo. «Le regole le stabilisce la maggioranza». La maggioranza? Mi chiedo.
Nella storia c’è stato un tempo in cui la schiavitù era per la maggioranza la cosa più naturale e giusta. Ma se oggi tornassimo alla schiavitù credo che tutti lo giudicherebbero uno passo indietro. Il matrimonio dei gay, riconosciuto ufficialmente, è dunque un passo in avanti o un passo indietro?
Un uomo può sentire il bisogno di vivere la propria affettività con un altro uomo. Ma ogni bisogno deve necessariamente essere riconosciuto come un diritto? Molti psicologi affermano che spesso il bisogno della solitudine nasce da una incapacità di relazione. Quale è allora il «vero» bisogno per l’uomo?
Mi rendo conto che il discorso si sta colorando solo di politica. E la mia tentazione di intervenire per dire solo che la Chiesa americana con la sua chiara posizione nei confronti del matrimonio dei gay può aver favorito il presidente scompare immediatamente. Sul display lampeggia il numero 17 alla cassa 4. È il mio turno. Tocca a me.