Arte & Mostre
Masaccio artista cristiano
La risposta non è poi difficile: Masaccio ha tradotto in pittura l’umanesimo cristiano del suo tempo. La visione eroica dell’uomo perfezionata dai grandi scultori, Ghiberti, Nanni di Banco e Donatello, nonché la razionalità dell’architettura di Filippo Brunelleschi vennero riassunte nell’opera di questo giovane pittore, Tommaso di Guidi detto Masaccio, che, arrivato dal contado nei primi anni 1420, si era associati così strettamente ai maestri dell’avanguardia a Filippo Brunelleschi e Donatello soprattutto che Alberti l’includerà tra i fondatori dell’arte rinascimentale, anche se Masaccio era più giovane degli altri di una generazione. È soprattutto nell’arte di Masaccio che l’umanesimo del primo rinascimento si presenta come inequivocabile strumento di comunicazione della fede in Cristo.
Tra il 1424-27 Masaccio e il suo collaboratore Masolino di Panicale affrescano una cappella nella chiesa fiorentina dei Carmelitani, su commissione di Felice Brancacci. Il programma iconografico ricollega gli inizi della Chiesa universale alla realtà fiorentina di allora, intrecciando in un unico racconto i valori dei primi credenti con quelli dei cittadini del XV secolo.
Salendo dalla navata al transetto del Carmine dove si trova la Cappella Brancacci, è subito visibile la più famosa delle scene raffigurate: l’episodio chiamato Il Tributo, nel registro superiore della parete meridionale. Ritmata e solenne come un fregio antico, la composizione illustra l’evento raccontato in Matteo 17, 24-27: l’arrivo di Cristo con gli apostoli a Cafarnao e l’incontro con un ufficiale che domanda se Gesù intenda pagare la tassa per il Tempio o no. Per risposta, Cristo pone una questione di principio, chiedendo a san Pietro: «I re di questa terra, da chi riscuotano le tasse e i tributi? Dai propri i figli o dagli altri?». Pietro risponde: «Dagli altri», e Cristo conclude: «Quindi i figli sono esenti». Aggiunge però che, affinché gli esattori «non si scandalizzino», Pietro deve andare al mare, gettare l’amo e prendere un pesce, nella cui bocca troverà una moneta. Con questo deve infine pagare la tassa per Cristo e per sé.
Il senso dell’episodio che Cristo, il «figlio del re», è esente dalla tassa ma paga ugualmente era attualissimo negli anni 1420 a Firenze. Per far fronte alle spese della guerra pluridecennale contro Milano, la Repubblica aveva imposto una tassa proporzionata alla ricchezza personale dei cittadini, il «catasto». Chi più aveva più pagava. Alcuni esponenti di famiglie influenti si opposero, considerando la tassa ingiusta in quanto obbligava i «figli» membri delle antiche casate che avevano fatto la grandezza di Firenze a pagare di più. Felice Brancacci invece, pur appartenendo a questa classe, appoggiò il catasto, motivato da un patriottismo di sapore religioso. La dignità degli apostoli del Masaccio, la loro gravitas e nobiltà morale, suggeriscono le qualità che Brancacci sperava di trovare nei suoi concittadini: coraggio e disponibilità al sacrificio per il bene comune.
Questo evento chiave, in cui l’esempio di Cristo offre una soluzione al problema attuale, viene poi inserito in un quadro di riferimento più ampio, nel contempo antropologico ed ecclesiale. Chi alza lo sguardo verso Il Tributo vede anche nel medesimo registro, sul pilastro a sinistra le figure di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre. Chi entra poi nella Cappella si trova circondato da episodi dagli Atti degli Apostoli che raccontano gli inizi della Chiesa.
Vale a dire che l’insegnamento di Cristo che cioè il cristiano deve supportare una situazione «ingiusta» per il bene del gruppo viene presentato nel duplice quadro delle contraddizioni cui l’uomo è soggetto, causa il peccato (Cacciata di Adamo ed Eva), e del nuovo sistema di valori che, nella Chiesa, permette di superare gli interessi individuali in uno spirito di amore fraterno (gli episodi tratti dagli Atti degli Apostoli, tra cui Pietro che guarisce uno storpio con la sua ombra, Atti 5, 15; La distribuzione ai poveri dei beni della comunità, Atti 4, 35, e La punizione di Anania, il quale, mentendo, aveva trattenuto per se una parte dei beni promessi alla comunità: Atti 5, 10).
La forza fisica e psichica dei personaggi di Masaccio (così diversi dalle delicate figure dipinte dal collaboratore Masolino) la tragica grandezza di Adamo ed Eva espulsi, la dignità massiccia degli apostoli comunicano perfettamente l’ideale umano del primo rinascimento fiorentino. Gli sfondi paesaggistici e urbani delle singole scene confermano inoltre che tutto questo avviene, appunto, a Firenze e nel suo territorio: la Guarigione dello storpio è ubicata in una via del quartiere in cui si trova il Convento dei Carmelitani, l’Oltrarno, e il dramma del Tributo si staglia contro un luminoso panorama collinare che ricorda il paese natale di Masaccio, San Giovanni Valdarno.
Nella Firenze del primo Quattrocento, in lotta per la propria libertas morale e politica, il sovrapporsi od intreccio di messaggi nella Cappella Brancacci è significativo. Esso comunica simultaneamente il «problema» e la speranza inerente alla condizione umana, la dignità dell’uomo quando si lascia guidare dall’esempio di Cristo, e ancora il ruolo della comunità ecclesiale come modello di un ordinamento sociale «perfetto» il tutto poi ora, a Firenze, in persone concrete!
Tale ottimismo religioso e culturale è raro: deriva dal convincimento di poter superare difficoltà, attuare progetti esigenti, realizzare comunità basate sull’amore. Questi affreschi in qualche modo rappresentano l’apice della storia e dell’arte fiorentina, un momento di grazia per l’uomo occidentale.
* Autore di L’arte sacra in Italia. L’immaginazione religiosa dal paleocristiano al postmoderno (Mondadori, Milano 2001), è direttore dell’Ufficio per la Catechesi attraverso l’Arte dell’Arcidiocesi di Firenze e docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale