Vita Chiesa
Martiri di Tibhirine. Arcivescovo di Algeri: «testimoni dell’amore di Dio per tutti, senza distinzione»
«È una grande gioia. La Chiesa, beatificando i 19 martiri, ce li ridona come modelli di testimonianza evangelica nel Paese in cui siamo». Così monsignor Paul Desfarges, arcivescovo di Algeri, descrive lo stato d’animo con cui la Chiesa cattolica di Algeria e tutto il Paese stanno vivendo la vigilia della beatificazione dei diciannove martiri cristiani uccisi tra il 1994 e il 1996. Si celebrerà sabato 8 dicembre ad Orano, presso il santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, e Papa Francesco ha nominato il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, suo «inviato speciale». «Erano uomini e donne che hanno donato la loro vita a Dio, mettendosi tutti i giorni in una relazione di servizio, amicizia, incontro, fraternità», sottolinea l’arcivescovo di Algeri. «Al momento della prova non hanno pensato di proteggere la loro vita ma hanno deciso di continuare ad essere compagni di viaggio di fratelli e sorelle algerini che in quel momento stavano vivendo la stessa violenza, la stessa inquietudine. Non hanno abbandonato i loro fratelli e le loro sorelle. Hanno deciso di restare a loro fianco fino alla fine».
Mons. Desfarges, che cosa dicono questi martiri oggi alla Chiesa di Algeria?
«La loro testimonianza è il senso della vita della nostra Chiesa in Algeria: essere qui per testimoniare l’amore di Dio per tutti, senza distinzione. Questi nostri fratelli e sorelle beati erano uomini e donne ordinari, non erano eroi. Non hanno mai pensato di essere martiri né beati ma hanno dato la vita. Beatificandoli, la Chiesa ci sta dicendo: questo è il cammino che dovete continuare a percorrere».
È stato deciso che la beatificazione si celebrasse in Algeria. Quanto è importante questa scelta e che senso ha?
«Siamo contenti di vivere questa beatificazione qui, in Algeria, perché sentiamo che è importante celebrarla non solo tra cristiani ma insieme ai molti amici musulmani. Anche loro hanno conosciuto il martirio. Novantanove imam furono assassinati perché si erano rifiutati di giustificare la violenza nel nome di Dio e della religione e con loro sono morti anche molti intellettuali, giornalisti, scrittori».
Per i musulmani, chi sono i martiri che verranno beatificati sabato?
«Sono dei fratelli e delle sorelle che riconoscono e onorano con gratitudine. Partecipare in qualche modo a questa beatificazione è per loro una maniera per sottolineare che non è stato l’Islam ad uccidere ma una ideologia che sfigura questa religione. Chi ha commesso questi atti assassini ha trasformato l’islam in una caricatura di se stesso, in un’ideologia di violenza e di morte. Nella storia dell’Algeria, la violenza si è battuta non solo contro i cristiani ma anche contro i musulmani. Li hanno uccisi semplicemente perché sono rimasti fedeli al loro cuore, alla loro coscienza».
Per la prima volta martiri cristiani vengono proclamati beati in un Paese musulmano. Che segnale è?
«Importante. Le autorità hanno compreso il senso più vero che vogliamo dare a questa celebrazione: dare testimonianza che è possibile vivere insieme, camminare credenti a fianco di credenti. Saranno presenti alla beatificazione autorità del Paese e molti imam. È l’immagine più vera dell’islam che la maggior parte degli algerini vivono e praticano. Un islam di tolleranza, di pace e di incontro. Aperto alla Chiesa e alle altre religioni».
Quale eredità lasciano i nuovi beati alla Algeria di oggi?
«Musulmani e cristiani sono chiamati oggi a percorrere un cammino insieme. Il mondo ha bisogno di queste testimonianze, ha bisogno di esperienze di fraternità in cui si mostra che è possibile superare i muri, lasciarsi conoscere gli uni gli altri nelle cose più belle e spirituali che si hanno, riconoscersi fratelli e sorelle nella profondità della propria fede. I martiri sono vittime di una delle pagine più buie della storia di Algeria. Ci dicono che i muri non possono che condurre a tensioni, fratture indelebili, guerre. Oggi, come dice il Papa, è il tempo per costruire ponti non muri».
Secondo lei, Papa Francesco cosa vuole dire alla Chiesa con questa beatificazione?
«Il Papa ha seguito da vicino la causa di beatificazione. Penso che sia sensibile soprattutto al martirio dell’amore. Sono toccato nel vedere come la vita di questi fratelli e sorelle corrisponda in maniera fedelissima al cammino che Papa Francesco sta indicando alla Chiesa. Nella sua ultima esortazione “Gaudete et exsultate” indica la santità nell’ordinario usando un’espressione molto particolare, la santità della porta accanto. Significa vedere nell’altro che bussa alla mia porta, un volto della santità. Ma per farlo dobbiamo saper guardare l’altro nella profondità del suo cuore. I martiri che verranno beatificati hanno fatto questo e lo hanno fatto con tutti, senza distinzione».