Nata a Firenze il 9 marzo 1955, malata di un tumore al cervello da quando aveva solo quattro anni, imparò a convivere con le limitazioni fisiche che il progresso della malattia gli procurava.Semplice, gioiosa, impegnata in parrocchia, è stata terziaria francescana, dama dell’Unitalsi per accompagnae le persone nei loro viaggi a Lourdes. ««La caratteristica saliente di Maria Cristina – scrive il postulatore della causa di beatificazione, padre Francesco Ricci – è stata quella di fare del dolore non un motivo di disperazione, ma un autentico mezzo di santificazione».Il suo «amore senza confini» le ispirò anche di allestire un battello fluviale attrezzato a piccolo ospedale nel Rio delle Amazzoni, che oggi porta il suo nome. Ispirò altre opere assistenziali e strutture residenziali per disabili, anziani e bambini, in Italia e all’estero che esistono tuttora.Nel 1971, ascoltando a scuola discorsi sull’aborto, esortò il papà Enrico, primario di ostetricia e ginecologia a Careggi, a interessarsene, e fu così che si fecero a Firenze le prime riunioni da cui poi nacque il primo Centro di aiuto alla vita, che fu a sua volta d’ispirazione al Movimento per la vita. Morì l’8 gennaio 1974 a soli 19 anni.Visse la malattia, spiega padre Ricci, «sorretta da una fede straordinaria, espressa in maniera chiara all’interno del suo diario spirituale dove, alla data del 18 ottobre 1972, ella scrisse “Vivo, sognando il Paradiso e non vedo l’ora di giungervi per rivederti, immenso amore”. Non si deve pensare che sia una frase espressione di un entusiasmo momentaneo; al contrario, tutta la sua esistenza fu in sintonia con tale desiderio e con quello di corrispondere pienamente all’amore di Cristo per gli uomini. Vedendo nel prossimo il riflesso del Redentore, ella si prodigò in una straordinaria opera di carità a favore dei bisognosi: poveri, anziani soli o comunque in difficoltà, disabili».La causa di beatificazione, aperta nel 2013, ha visto la chiusura della fase diocesana nel 2016 e nel 2018 la consegna della «Positio» che raccoglie notizie biografiche e testimonianza; nel 2022 il testo è stato esaminato dal collegio dei teologi. Adesso manca l’ultimo parere dal dicastero per le cause dei santi, che potrebbe quindi inoltrare la documentazione a papa Francesco per la dichiarazione di venerabilità».In un momento in cui si dibatte su eutanasia e suicidio assistito, prosegue il postulatore, «niente può essere autorevole come una testimonianza concreta e, da questo punto di vista, la Serva di Dio costituisce un indiscutibile e credibile modello di come ogni esistenza meriti di essere vissuta».Un modello di santità da proporre soprattutto ai giovani: «La testimonianza di Maria Cristina risulta particolarmente preziosa per i giovani. Ella infatti ha mostrato la bellezza di una vita spesa interamente nel servizio di Dio e nel dono al prossimo bisognoso; rappresenta dunque un modello molto attuale per i ragazzi, spesso in difficoltà nel trovare punti di riferimento stabili e nel dare un senso ed un valore autentici alla propria esistenza terrena».L’opera di Maia Cristina Ogier continua oggi a Firenze con le due case famiglie, di via Fortini e del viale Galileo, per persone con disabilità fisiche o mentali. È l’associazione Maria Cristina Ogier Onlus a gestirle insieme alle suore dell’ordine dello Spirito Santo. «Sono pensate per ospitare un numero piccolo di persone perché si possa ricreare un’ambiente di famiglia», dice il direttore Antonio Borgioli. Un’intuizione, quella delle case famiglia, venuta a Maria Cristina mentre faceva volontariato nei grandi istituti: «ogni persona era identificata con il numero del proprio letto: questo la giovane Ogier non lo accettava. Sognava una casa dove delle persone si prendessero cura con amore di altre persone, non di numeri, ed è quello che cerchiamo di fare ancora oggi».«Anche nella sofferenza, che oggettivamente c’è e non possiamo rimuovere, – racconta la coordinatrice Ilaria Crucchi – il sentirsi accolti, amati e trattati umanamente, fa la differenza: abbiamo visto persone rasserenarsi completamente, dopo essere arrivate con grandi arrabbiature per le ferite dei propri vissuti».