(ASCA) – Le unioni municipali previste dal decreto legge recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, varato dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, sono appena nate sulla carta e già hanno vita difficile. Sì perché, come spiegato all’ASCA da Mauro Guerra, vicepresidente di Anci e coordinatore della Consulta Piccoli Comuni, non è detto che si possano attuare. Ma, andiamo con ordine. L’articolo 16 del provvedimento (Riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni), ricorda Guerra, prevede che nei comuni sotto i mille abitanti, senza che sparisca il comune, viene eletto direttamente il sindaco, ma spariscono invece consigli comunali e giunte. Il tutto però in un quadro che non è detto si possa attuare perché la norma prevede che queste unioni municipali composte dall’assemblea dei sindaci dei comuni con meno di mille abitanti che dovrebbero gestire tutte le funzioni, dovrebbero essere composte da comuni contermini con meno di mille di abitanti fino però a raggiungere almeno i 5 mila abitanti. Io vivo sul lago di Como, la provincia di Como ha 163 comuni, di questi 140 sono con meno di 5 mila abitanti e 45 hanno meno di mille abitanti, ma su questi 45 ce ne sono solo 6 o 7 che sono contermini e faticano a raggiungere i 5 mila. Nel testo si legge che i comuni che non riusciranno a raggiungere 5 mila abitanti accorpandosi con dei comuni contermini saranno trattati come se ne avessero 3 mila senza perdere più consiglio e giunta e non so se ci si rende conto dal punto di vista istituzionale che tipo di disegno si mette in campo. Avremo comuni con meno di mille abitanti associati nelle unioni municipali, in qualche raro caso, che avranno solo il sindaco, ma altri, magari con 30 abitanti che non hanno contermini e non arrivano a 5 mila abitanti, che continueranno ad avere consiglio e giunta. Insomma, evidenzia Guerra, per ristrutturare il sistema delle autonomie locali, anche dei piccoli comuni e del loro modo di funzionare non bisogna partire da numeri astratti, ma dai territori, dalle comunità, capire quali servizi vanno garantiti e come organizzare un ambito adeguato. D’altronde, non possiamo neanche costringere un comune con mille abitanti a mettersi assieme ad altri disgraziati come lui, perché la somma delle disgrazie non è che faccia necessariamente le virtù. Può essere che a un comune con meno di mille abitanti che magari ha vicino un Comune da tremila, quattromila, gli convenga fare gestione associata con questi ultimi che non con gli altri da meno di mille. La ricostruzione di un ente territoriale deve partire da qualcosa di un po’ più serio che una cifra messa lì. D’altra parte in Svizzera, dove stanno procedendo a una forte riorganizzazione dei comuni proprio nel Canton Ticino con aggregazioni, hanno messo in moto un processo che sta durando da anni con progetti che vengono discussi con i Comuni e con i territori, che vengono promossi e bocciati. Invece qui in Italia non abbiamo avuto nessun confronto con il Governo, nell’unico incontro che abbiamo avuto c’é solo stato comunicato e noi abbiamo detto che non eravamo d’accordo su nulla.