Toscana

«Mani Tese» sul dialogo

DI FILIPPO CIARDIAl convegno internazionale «Dai cieli dell’utopia alla polvere della storia», organizzato al Palacongressi di Firenze da «Mani Tese» nel fine settimana scorso, solo in alcuni interventi si è parlato esplicitamente di pace, ma sono state esaminate ampiamente le condizioni necessarie perché questa ci sia davvero. Chi ha scaldato di più la numerosa platea è stato padre Alex Zanotelli.

Dopo 12 anni passati nella baraccopoli di Korogocho, alla periferia di Nairobi (Kenya), il missionario ha innanzitutto ringraziato Dio della grazia che ha ricevuto in questo durissimo periodo: i poveri. «Mi hanno donato – ha spiegato il missionario – l’unica cosa che avevano: la loro umanità. In tutto questo tempo mi sono sempre più convinto che la Bibbia parla di un Dio difensore degli oppressi, che sogna per l’uomo un’economia di uguaglianza, una politica di giustizia».

Zanotelli ha insistito molto sulla denuncia dell’«impero», rappresentato dai poteri economici, politici e militari: «Per la “difesa” dell’insostenibile modello di sviluppo del 20% della popolazione più ricca, quest’anno gli Stati Uniti spenderanno in armamenti circa 500 miliardi di dollari e i paesi dell’Unione Europea 250. E pensare che ne basterebbero 13 all’anno per risolvere nel mondo tutti i problemi sanitari e di denutrizione».

La speranza del missionario per un cambiamento è nel dialogo fra la società civile del nord e del sud del mondo, in un movimento nonviolento che dal basso proponga nuovi stili di vita, e che «deve avere una dimensione spirituale, per evitare di cadere nel materialismo. Anche noi cristiani dobbiamo cambiare. Spesso leggiamo il Vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo nulla del Vangelo».

A testimoniare esplicitamente un attualissimo bisogno di pace, sono stati i due significativi interventi di un Israeliano e di una Palestinese. Il primo, Yehezkel Lein, fa parte di un’associazione israeliana che dal 1989 denuncia gli abusi e le violenze nei Territori occupati, chiunque ne sia responsabile o vittima. Il ricercatore ha sottolineato come il processo di pace iniziato negli anni ’90 sia fallito proprio perché né Israele, né i Palestinesi, né la comunità internazionale hanno affrontato concretamente il tema dei diritti umani: «La repressione delle autorità israeliane è continuata durante tutto questo periodo con una quantità crescente di soprusi sui Palestinesi, e anche questi sono stati protagonisti di numerose violenze».

Di fronte all’attuale aggravarsi della situazione, Lein esprime chiaramente il proprio pensiero: «Io non giustifico il terrorismo, ma questo finisce per essere alimentato dalla politica punitiva indiscriminata del governo Sharon, che contesto apertamente insieme alla strumentalizzazione della paura del mio popolo. Non ci sarà la pace se non finirà l’occupazione israeliana e se non si porrà al centro dei negoziati il tema dei diritti umani e del rispetto reciproco».

Sandi Hilal opera invece per la Croce Rossa palestinese e ha studiato le percezioni dei bambini che vivono nei Territori occupati, basandosi sui loro disegni. Molti di questi rappresentano la guerra, posti di blocco e simbologie di confini, «ma l’immagine che più ha colpito i ragazzini palestinesi è senz’altro quella, trasmessa da tutte le televisioni, del padre che tenta invano di proteggere dagli spari israeliani il figlio che tiene in braccio. Quell’episodio ha fatto perdere ai bambini anche la fiducia nella capacità dei genitori di proteggerli».

Ci sono anche immagini piene di allegria ed altre che contengono un messaggio di speranza: due strade che si incontrano con le bandiere palestinesi e israeliane. «Mio padre – conclude Hilal – ha odiato gli Israeliani, ma mi ha insegnato che non avrei dovuto farlo anch’io. Nonostante tutto, mi sto impegnando, e spero di riuscire ad insegnare ai miei figli ad amarli».

Il sito di Mani Tese