di Gianni RossiRiproduce l’affascinante copertura della «casa» di Capri la grande scalinata lignea che accoglie il visitatore della mostra «Malaparte. Arcitaliano nel mondo», al secondo piano del Museo del Tessuto. Un allestimento di sicuro impatto scenografico quello ideato per l’esposizione voluta dal Comune di Prato e curata in particolare dall’Assessorato alla Cultura di Anna Beltrame per mettere in mostra i primi documenti finora catalogati dell’archivio del grande scrittore (che mai era stato scientificamente studiato). Come si ricorderà – fu il nostro settimanale a dare in esclusiva prima la notizia della trattativa in corso tra gli eredi e il Comune (era il maggio del 2007) e poi, una volta fallita, della vendita del fondo alla Biblioteca di via Senato a Milano, presieduta da Marcello Dell’Utri. La sciagurata combinazione tra la volontà degli eredi – nipoti e pronipoti – di far cassa massimizzando il profitto e l’incapacità dell’allora Giunta comunale Romagnoli di coinvolgere le istituzioni cittadine, portarono nel marzo 2009 alla mancata acquisizione da parte della città di un patrimonio preziosissimo legato ad uno dei suoi più grandi figli di sempre.Ora il Comune di Prato, grazie comprensibilmente anche all’affinità politica con Dell’Utri, ha portato a Prato la mostra allestita tra la primavera e l’estate scorse nella sede della biblioteca milanese. L’organizzazione è in collaborazione con la Fondazione Museo del Tessuto. Come ha detto anche il sindaco Roberto Cenni, l’iniziativa vuole essere in qualche modo una «riparazione» per quella perdita grave. Bene ha fatto dunque il Comune ad impegnarsi per questo omaggio significativo: in questi anni, anche in occasione del cinquantenario della morte, ben poco è stato fatto in città.In un’ideale ricostruzione della villa caprese che lo scrittore edificò come luogo di espressione e rifugio, il visitatore si inoltra in un percorso modellato da scatole sovrammesse che mostrano i documenti provenienti dall’archivio, i primi studiati, stando ai curatori. Sui fianchi delle «celle», le testimonianze cartacee di una vita: dai componimenti dedicati alla mamma, alle lettere dei grandi intellettuali dell’epoca, dalle fotografie alle opere. C’è il fascicolo dell’ode «A Sem Benelli» che tredicenne Malaparte pronunciò al Cicognini e ci sono le prime stesure de «La Pelle». È come se fosse lo stesso visitatore a frugare in quelle scatole, imbattendosi in personaggi come Mussolini, Pound, Gobetti, Aleramo, Moravia, Montanelli, Togliatti e un giovane Giorgio Napolitano, tanto per citarne solo alcuni. La sua dello scrittore viene esotericamente divisa – e la scelta lascia piuttosto perplessi – tra fuoco, aria, terra e acqua, in una ricostruzione sicuramente interessante ma anche molto sintetica. Gli apparati didascalici, del resto, sono ridotti (troppo) al minimo.In ogni caso la documentazione presente, che pur affascina e incuriosisce non aggiunge nulla di nuovo alla comprensione dello scrittore, se non per quella interessante lettera dell’architetto torinese Aldo Morbidelli nella quale il professionista si complimenta con Malaparte come «artefice genialissimo» della casa di Capo Massullo a Capri. La lettera dà ragione a chi da tempo sosteneva che la paternità effettiva di quella costruzione, ritenuta tra le più interessanti dell’architettura del Novecento, fosse da attribuire allo scrittore e non all’architetto Adalberto Libera che era stato inizialmente incaricato.Semmai, quel che lascia sorpresi – sia nella mostra che nel bel catalogo – è la voluta (non si può pensare diversamente) dimenticanza sulla conversione al cattolicesimo dello scrittore, che in una ricostruzione complessiva della vita poteva essere almeno accennata, anche laddove ritenuta (noi penseremmo a torto) del tutto controversa.Si tratta comunque di una mostra da non perdere, per riprendere un filo di conoscenza e di «amicizia» tra i pratesi e i toscani e il loro «Malaparte». Aspettando,da Milano, i «nuovi» documenti dell’archivio.