Toscana
Madre Teresa, la vita
Domenica 19 ottobre in piazza San Pietro Giovanni Paolo II proclamerà beata madre Teresa di Calcutta, a soli sei anni dalla morte avvenuta il 5 settembre 1997, ma già in vita considerata santa da milioni di persone. Un’incontestabile fama che ha determinato il Papa ad autorizzare già alla fine del 1998 l’avvio dell’inchiesta diocesana senza attendere il termine dei cinque anni dalla morte stabiliti dalle norme del diritto canonico. Un iter davvero veloce: conclusasi nel 2001 la fase diocesana, il riconoscimento della guarigione miracolosa di una donna di un villaggio del Bengala per intercessione della fondatrice delle Missionarie della Carità ha creato le condizioni per la beatificazione.
“Stringi la mano di Dio e non lasciarla mai nel tuo cammino”: è il consiglio che Agnés Gonxha Bojaxhiu, questo il vero nome della futura beata, riceve dalla madre Drana all’indomani della sua decisione di prendere i voti religiosi. Agnés nasce il 26 agosto 1910 a Skopje; rimasta orfana di padre a 8 anni, nel 1928 entra fra le suore di Nostra Signora di Loreto nella casa madre di Rathfarnham, in Irlanda. Il 1° dicembre parte per l’India per il noviziato. Nel 1937, a Calcutta, emette i voti perpetui assumendo il nome di “Teresa” in onore della santa di Lisieux, ma nove anni dopo, è la stessa Teresa a raccontarlo, “avvertii con chiarezza una chiamata nella chiamata. Il messaggio era molto chiaro: dovevo lasciare il convento di Loreto per darmi al servizio dei poveri, vivendo in mezzo a loro. Era un comando”. Di qui, dopo l’autorizzazione di Pio XII, la decisione di lasciare l’Ordine e, al termine di un corso da infermiera, Teresa indossa il sari bianco con le strisce azzurre e la croce sulla spalla, chiede e ottiene la nazionalità indiana e si stabilisce a Calcutta dove nel 1950 fonda la Congregazione delle Missionarie della Carità, formata nel suo nucleo iniziale da dodici suore. Uscire per le strade e raccogliere “coloro che non sono voluti, amati e curati”: questo il compito della suora che nella “Casa dei moribondi” fondata nel 1954 riunisce gli agonizzanti rifiutati dagli ospedali o dai familiari. “Per molti che arrivano qui non c’è più nulla da fare, ma se riprendono conoscenza dopo le nostre cure almeno muoiono amati. Spesso mi sono sentita dire: ‘Per tutta la vita ho vissuto come un animale, ora muoio come un essere umano”: questa la testimonianza della futura Beata, convinta che “quel che manca di più ai poveri è il fatto di sentirsi amati. Per tutte le malattie vi sono medicine, cure, ma quando si è indesiderabili, se non vi sono mani pietose e cuori amorosi, allora non c’è speranza di guarigione”.