Italia

«Ma le scorie nucleari non sono così pericolose»

Il professor Marino Mazzini, ingegnere nucleare, docente all’Università di Pisa, uno dei massimi esperti in sicurezza e valutazioni di impatto ambientale, non è piaciuto quello che abbiamo scritto a proposito delle scorie nucleari (n.43 del 30 novembre scorso).

«La reazione che si è avuta a Scanzano Ionico nelle scorse settimane corrisponde – a giudizio di Mazzini – ad un’immagine completamente distorta di quelle che sono comunemente chiamate scorie nucleari». Per questo, il docente pisano si rifiuta di tacere di fronte a quella che definisce «la strumentalizzazione del rischio nucleare di alcuni gruppi della nostra società che sfruttando la paura della gente, hanno fatto di questo rischio una vera e propria costruzione intellettuale per i propri scopi politici e personali, distorcendo completamente la verità».

Mazzini si dice sorpreso che anche alcuni uomini di Chiesa sposino certe battaglie: «In realtà, anche nel caso delle scorie nucleari i tecnici del settore operano in modo da imitare la natura (o quanto fatto da Dio, per i credenti), in quella ricerca dell’eccellenza per quanto concerne sicurezza dell’uomo e tutela ambientale che caratterizza tutta l’ingegneria nucleare, e non nel modo barbaro ed irresponsabile che è implicito nella rappresentazione che di tali attività danno in generale i media».

«Le scorie nucleari – spiega il professore – sono rifiuti solidi contenenti sostanze radioattive, condizionati, cioè resi inerti e sicuri per poterli maneggiare senza rischi per gli addetti e per la popolazione in tutte le fasi del processo: dalla produzione, al condizionamento, al trasporto, all’immagazzinamento temporaneo, fino allo smaltimento definitivo. I contenitori in cui sono racchiusi tali rifiuti sono realizzati in modo da assolvere la loro funzione di schermatura ed isolamento del contenuto sia in condizioni normali che in caso di incidenti di una certa gravità».

La caratteristica fondamentale dei rifiuti radioattivi è ovviamente il loro contenuto in termini di radioattività, «ma in realtà – spiega Mazzini – tutto ciò che è presente sulla Terra (piante, animali, rocce, il nostro stesso organismo, gli oggetti che usiamo quotidianamente, l’acqua che beviamo, i cibi che mangiamo, ecc.) è radioattivo. Ciò comporta per tutta l’umanità una dose naturale di radiazioni, a cui l’organismo umano si è certamente adattato nelle decine di migliaia di generazioni che ci hanno preceduto su questa Terra. Ma la radioattività naturale e di conseguenza la dose naturale di radiazioni è molto variabile da punto a punto della superficie terrestre, con valori in alcune aree doppi, tripli ed in qualche caso anche dieci volte superiori ai valori medi sopraindicati, senza che questo comporti differenze nello stato di salute o nell’attesa di vita delle popolazioni che vivono in tali zone rispetto a quelle che vivono in zone vicine con simili caratteristiche per quanto riguarda clima, diete alimentari, contesti economici e sociali. Per fare un esempio, la radioattività dei blocchetti di granito usati per pavimentare Piazza San Pietro è così elevata da dare un’intensità di dose oltre dieci volte il fondo naturale medio in Italia, comparabile con quella della zona di 30 chilometri di raggio interdetta alla popolazione attorno al famoso reattore di Chernobyl. Ma a nessuno è venuto in mente di interdire l’accesso a Piazza San Pietro della gente per la pericolosità della situazione!».

«Oltre il 99% dei circa 26 mila metri cubi che sono attualmente distribuiti in depositi temporanei in varie regioni italiane sono a medio-bassa radioattività, prodotti in oltre 40 anni. A questi rifiuti sono da aggiungere quelli che deriveranno dallo smantellamento delle centrali nucleari dimesse e ciò porterà il totale a circa 100 mila metri cubi, per fare cifra tonda. I rifiuti a bassa radioattività – spiega ancora Mazzini – possono essere smaltiti in tutta sicurezza in discariche superficiali o a poca profondità adeguatamente progettate e gestite. Dopo qualche secolo saranno completamente decaduti e pertanto non più rifiuti radioattivi. Diverso è il discorso per i rifiuti ad alta radioattività che però è possibile smaltire in sicurezza, previo adeguato trattamento, in adatte formazioni geologiche (depositi di sale o argilla)».

Facendo l’esempio della Svezia, il professore parla di barriere di sicurezza attraverso materiali di matrice vetrosa, contenitori di rame saldati e poi sepolti in cunicoli scavati all’interno del deposito (ad esempio di argilla) ad una profondità di 500 metri-1 chilometro e sigillati con betonite in modo da ripristinare la continuità strutturale dello strato di argilla del deposito.Ma chi garantisce che questa sistemazione non darà alcuna interazione con gli ecosistemi in superficie per il lunghissimo periodo di tempo necessario al decadimento delle sostanze radioattive contenute? «Le caratteristiche intrinseche dei materiali utilizzati e le analogie naturali. Infatti – dice Mazzini – il vetro ed il rame, nelle condizioni chimico-fisiche in cui operano all’interno del deposito, non sono soggetti ad alcun effetto di corrosione, mentre uno spessore d’argilla di centinaia di metri isola completamente il suo contenuto dall’ecosistema, per le caratteristiche dell’argilla di impermeabilità all’acqua; inoltre la sua plasticità dà garanzie di tenuta anche in presenza di terremoti e sconvolgimenti geologici, che in nessun caso potrebbero fratturarla».A.F.

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