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Ma la storia non finisce a Pratica di Mare
Forse una nota di costume può aiutare a capire queste alleanze incompiute. Se uno vede in Tv, da qualche tempo, le immagini degli incontri fra grandi del mondo, grandi e piccoli, con i piccoli che nell’occasione possono magari atteggiarsi a grandi, avrà notato la nonchalance dei più: maniche di camicia, giacca portata alla minatore e retta dall’indice sulla spalla e così via. I predecessori, di appena ieri, erano più aulici «signor Presidente», «signor Ministro» e via baroccheggiando. Ora non usa più neppure il cognome; si salta subito al nome di battesimo (o di laica anagrafe).
Ecco una prima possibile interpretazione dell’accordo di Pratica di Mare: l’amicizia fra i leaders, nome nuovo delle alleanze. Che può anche non piacere, ma così è. Certo, il precedente delle grandi famiglie, che un tempo governavano l’Europa intera non solo dandosi del tu ma avendo il Dna in comune, non è dei più confortanti. Il «caro cugino», la «cara zia», il «caro nipote», al momento buono guidavano eserciti che se le davano di santa ragione.
L’amicizia come alleanza, dunque per fare cosa? L’amicizia ha il vantaggio di essere più elastica di un’alleanza secondo i vecchi canoni. Si adatterebbe meglio quindi al nemico comune di oggi, il terrorismo. Che magari ha reparti militari certamente affiliati, pronti a tutto ma manca di territorio e di sovranità, se non saltuaria e comunque ballerina in territori altrui. Più che uno stato, il terrorismo è un ospite al massimo sopportato laddove si organizza. Colpirlo con la sola forza delle armi è difficile dopo tutto (l’Afghanistan insegni) colpire l’ospitante non significa aver eliminato l’ospitato. Il passerotto non ha paura della cannonata perché novantanove su cento non lo centra.
Il terrorismo c’è e non è neppure una novità di oggi: la geografia politica l’ha disegnata anche lui. Vediamo allora rapidamente il contenuto e le conseguenze possibili dell’amicizia-alleanza fra Putin, Bush e gli altri. Il nemico individuato essendo sfuggente, non può essere perseguito se non con intese di volta in volta stabilite. E quando sfuggente non lo è perché (Bush ad esempio, sembra averci una ruggine di famiglia con Saddam Hussein) identificato in uno Stato, richiede coalizioni ad hoc. Le vecchie rigide alleanze allora, appaiono superate. Si procede a vista nell’ambito delle amicizie.
Un primo cambiamento, dopo Pratica di Mare, riguarda proprio il ruolo della Nato, in particolare il rapporto fra gli Usa e i vecchi alleati euroccidentali. Che sembrano aver oggi una parte minore da recitare, poiché l’integrazione fra i paesi del Nord del Mondo viene ad avere due protagonisti principali, e per le loro ambizioni e anche per i loro bisogni. Un esempio: la Russia può soddisfare il bisogno di petrolio dell’America e dell’occidente se dovesse inaridirsi la produzione del Golfo; in cambio scongela vantaggiosamente il commercio, può sbarazzarsi di buona parte del costoso arsenale nucleare senza colpire troppo l’orgoglio dei suoi generali.
E l’Europa? Se resta ferma al palo della moneta unica, rischia non poco. Bush e Putin, abbiamo detto, hanno interesse a preferirsi; Blair a mantenere i rapporti privilegiati con Bush e quindi, per reggersi nel ruolo, deve anche frenare il processo di integrazione politica dell’Europa. Con quel che resta nel vecchio continente si può procedere con intese bilaterali.
Sull’abbrivio di Pratica di Mare, il Presidente del Consiglio italiano ha prospettato l’ipotesi di una Russia che entra nell’Unione Europea. C’è anche chi propone l’ingresso di Israele. Grande Europa, nessuna Europa? Vale la pena di rifletterci sopra. Così come, per altro verso, varrà la pena di non fermarsi alla tranquillità dei rapporti raggiunta nel Nord del mondo. C’è anche un Sud, articolato: ora potente anche economicamente (la Cina); ora nucleare (India, Pakistan), ora in via di sviluppo ma pieno di risorse e di problemi (l’America Latina), ora depresso e con moto migratorio che cresce in progressione geometrica (L’Africa).
La storia evidentemente non finisce a Pratica di Mare.
Nella dichiarazione i 20 leader mondiali riaffermano la loro «determinazione a costruire una pace durevole e aperta a tutta l’area euroatlantica sulla base del principio di una sicurezza comune ed indivisibile». In questo contesto, Nato e Russia sottolineano la comune volontà di osservare gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, dall’Atto finale di Helsinki e dalla Carta per la sicurezza europea adottata sotto l’egida dell’Osce.
Il Consiglio a 20 Nato-Russia prosegue la Dichiarazione «applicherà il principio del consenso» nei settori di comune interesse: esso funzionerà «sulla base di un dialogo politico costante fra i suoi membri sulle questioni della sicurezza per identificare i problemi quando si manifestano, per determinare gli approcci comuni ottimali e per portare avanti azioni congiunte».