Cultura & Società
Ma il pianeta gemello ci spingerà a tutelare la Terra?
Bastava rovesciare il contenitore per capire. Se avessimo ascoltato le conclusioni di padre Josè Gabriel Funes, direttore della specola vaticana, che invitava ad essere prudenti e attendere ulteriori risultati, tutto sarebbe stato immediatamente più chiaro. A Tv2000 ieri sera, con la guida «interstellare» di Letizia Davoli, si è infatti parlato di Kepler 452b, battezzato come il pianeta gemello della Terra. A confrontarsi con questa nuova possibilità di «leggere» l’universo c’erano le persone giuste: oltre a padre Funes, Piero Angela, il professor Giovanni Bignami, già direttore dell’Agenzia Spaziale Italiana, attualmente presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’astronauta Umberto Guidoni. Come giustamente ha notato Bignami con la sua consueta verve, l’annuncio fatto giovedì scorso dalla Nasa rispondeva più che altro ad una strategia di marketing. In realtà la notizia è importante, ma è basata su sofisticate rilevazioni riguardanti le flessioni della luminosità della stella di 452 b. Questo vuol dire che non lo vediamo, non lo potremmo neanche con i potentissimi strumenti ottici di ultima generazione.
Ecco il perché del finale appello alla cautela da parte del direttore dell’osservatorio vaticano. Come a dire che la Nasa ha fatto uno scoop ma ora bisogna vedere se tutto sarà confermato. Perché in realtà l’argomento è intrigante, e va a pescare nella naturale curiosità degli abitanti della terra che si chiedono se hanno compagnia nello sterminato universo, affonda nei territori della scienza, nella fiction, dell’esoterismo, e anche e soprattutto nella religione.
Padre Funes è stato categorico: non ci sarebbe, nel caso scoprissimo che è tutto vero, il che non è questione di oggi, nessuna contraddizione con la fede in un Dio creatore e che ci riserva sempre delle sorprese, perché è un Dio che ci vuole stupire sempre. Qui si tratterebbe, infatti, qualora le ricerche lo confermassero, di un pianeta grande 1,6 volte il nostro, distante circa 150 milioni di chilometri dalla sua stella, come noi dal Sole, che è per inciso il 4 per cento più massiccia della nostra stella e il 10 per cento più luminosa. Questo vuol dire che l’acqua potrebbe esistere nei tre stati che conosciamo, gassoso, liquido e solido. È quindi nella fatidica zona di abitabilità che garantirebbe l’esistenza di una vita come la nostra. E qui cominciano i problemi, sollevati giustamente anche da alcuni degli ospiti della trasmissione: la vita dovrebbe essere del tipo di quella concepita da noi. Ma potrebbe essere anche diversa. Oltretutto, ha affermato padre Funes, noi non consociamo ancora la gravità e la massa e il tempo di rotazione intorno a se stesso del pianeta, e non sono cose da poco per capire la possibilità di vita così come la intendiamo noi. Inoltre è stato osservato che se lo potessimo guardare, visto che è più vecchio della terra di circa un miliardo d’anni, potremmo capire come sarà dopo tutto quel tempo il nostro pianeta. Ancora gli «strilloni» hanno parlato di una seconda rivoluzione copernicana, cosa smentita anche da Piero Angela, che ha giustamente parlato di conferme di ipotesi già formulate, non di una vera e propria rivoluzione.
Ma allora che rimane di tutta questa bolla mediatica? Sicuramente le parole dell’astronauta Guidoni, che ci ha dato una bella lezione, raccontando di come tornando sulla terra dopo averla vista dall’oblò piccola come una palla da biliardo, si sia sentito cittadino di tutto il pianeta. Lui ha parlato di casa ed è stato commovente, perché ci ha ricordato come l’uomo insanguini questa sua casa con guerre assurde e la rovini con l’inquinamento e la distruzione dei serbatoi di vita. Non è un caso che Guidoni abbia notato come da quella distanza non si veda nessuna traccia dell’uomo, almeno di giorno, ma solo montagne e mari. Questo umile omaggio alla grande casa che ci ospita ha fatto passare in seconda battuta tutto il resto, anche perché un segnale da Kepler b impiegherebbe 1400 anni per arrivare ed è per questo praticamente impossibile comunicare in termini umani. Sarebbero distanze omeriche. Nel senso che tra due «ciao» ci vorrebbero gli anni che ci separano dai poemi omerici.
Senza contare che ci sono possibilità che esistano migliaia di pianeti con caratteristiche simili al nostro. Se qualcosa di certo e tangibile è scaturito da queste voci è stata proprio l’affermazione del nostro dovere di rispettare e amare la sorella Terra.