Lettere in redazione
Ma gli insegnanti non sono tutti uguali
La lettera di qualche settimana fa sulla scuola e i docenti e la vostra risposta meritano qualche approfondimento. Il lungo testo del lettore dimostrava maggiori conoscenze circa la situazione dei docenti di scuola elementare, ma poco o nulla sul resto. E francamente mi ha sorpreso anche la scarsa documentazione della risposta. L’argomento che tutti i docenti devono fare lo stesso orario di servizio è molto debole perché prescinde dal considerare i diversi carichi che ciascun grado dell’ordinamento scolastico impone. L’insegnamento nella scuola primaria è radicalmente diverso da quello delle medie, e ancor più, delle superiori: diverse l’età dei ragazzi, l’organizzazione della didattica, le sfide educative, l’impegno culturale ecc. non si finirebbe più di elencare.
Un docente di scuola superiore ha, mediamente, 4 classi e, nel caso di un insegnante di Lettere che ha 2 discipline per ciascuna (Italiano e Storia), è come se le classi diventassero 7 o 8. L’impegno culturale ed educativo nella fascia dell’età evolutiva – complessa e in divenire per definizione – con le connesse dinamiche familiari e sociali rappresentano un impegno spesso asfissiante e talvolta, senza ironia, eroico. In Europa si parla apertamente, a questo proposito, di burn out, di un logoramento psico-fisico che fa della professione docente uno dei lavori usuranti, come dimostrano ricerche scientifiche e relative statistiche.
Nessuno poi considera, né il lettore né il cronista nella sua risposta, l’impegno «sommerso» oltre le 18 ore frontali: compiti da correggere ( per un insegnante di Lettere, la media è di 4 compiti l’ora, spicciandosi). Basta una semplice moltiplicazione: calcolando – al ribasso – 20 alunni per classe, si ottiene una media di 20 ore aggiuntive in più al mese solo per la correzione. A questo si aggiungano le riunioni obbligatorie (il contratto ne prevede il «limite»: 40 più 40 per anno scolastico), la preparazione delle lezioni, i rapporti con i genitori (volontariato puro), carichi burocratici sempre crescenti (come la digitalizzazione di tutte le operazioni relative agli scrutini, ecc) e, per i docenti delle superiori, l’esame di stato, che comporta un mese medio di lavoro in più ma, soprattutto, tempi ed orari assolutamente non quantificabili e, manco a dirlo, con pagamento «a forfait».
Già, perché forse nessuno sa che gli orari degli insegnanti sono a «fisarmonica» e non è previsto nessun riconoscimento straordinario.
In realtà sparare nel mucchio, senza ricordare anche, per esempio, che gli stipendi degli insegnanti italiani sono quantomeno inadeguati (terz’ultimi – dopo di noi solo Grecia e Portogallo – nella lunga schiera dei paesi OCSE) e addirittura imporre loro, come aveva provato a fare questo governo, un aumento di 6 ore dell’orario frontale di lezione senza una lira in più, non è solo insultante ma anche impossibile da sostenere sul piano della resistenza fisica.
L’impressione è che si voglia surrettiziamente imporre un altro disegno: ridurre la scuola pubblica italiana – statale e non statale, si badi, visto che nel contempo si strangola anche il no profit – ad un carrozzone indecoroso e squalificato come negli USA mentre, ovviamente, i figli della «razza padrona» godono e godranno sempre più di esclusivi colleges e università per tornare a perpetuare una società classista di privilegiati da un lato e reietti dall’altro.
Stupisce, semmai, e molto il silenzio assordante su questi temi così decisivi per le giovani generazioni e il futuro dell’Italia dei ministri «cattolici» e di tanti ambienti decisionali che tessono al governo Monti lodi sperticate quanto immeritate. E sarebbe quantomeno auspicabile che il nostro settimanale aprisse finalmente le sue pagine ad un tema non solo importante ma da sempre al centro della riflessione e delle cure del pensiero e delle opere dei cristiani; giacché senza educazione ed istruzione radicate antropologicamente nella lettura autentica della natura umana non si guarisce questa nostra società malata. Anche in coerenza con quel grido, giustamente allarmato, che la Cei non cessa di levare circa la sfida che «l’emergenza educativa» pone per le sorti dell’Italia di oggi e di domani.
Le risposte in questa rubrica sono per definizione molto sintetiche. Ma chi ci segue con attenzione sa che abbiamo sempre dedicato molto spazio alla scuola, perché la consideriamo un settore cruciale per il futuro del Paese. Sono stato insegnante per più di un decennio e so bene che dietro alle 18 ore di insegnamento frontale ce ne sono molte di più spese in preparazione, aggiornamento, correzione compiti, colloqui con i genitori, consigli di classe, e così via. Ma se dovessimo fare il «conto della lavandaia» di questo lavoro, come mi sembra suggerisca la lettera, finiremmo per dover pagare di più o di meno i docenti a seconda della materia insegnata, del tipo di scuola, del numero di alunni, della loro età, delle problematiche sociali che hanno… E perché no, dei risultati ottenuti dagli allievi.
L’elenco pubblicato dal «Corriere della Sera» e stilato da alcuni docenti della secondaria di I grado «Quintino di Vona» di Milano (quindi una scuola media), stima in 1.759 le ore totali di lavoro in un anno. Ma ci mette proprio tutto, tutto, compreso 34 ore per gestire le email di colleghi, alunni o famiglie e 30 di colloqui con educatori per casi difficili. Comunque sia, equivalgono a 40 ore settimanali per dieci mesi. Ma solo il 37% è costituito da ore di insegnamento frontale. Allora, più che preoccuparsi per un’ora in più di lezione forse si dovrebbe cercare di ridurre quel 63% rimanente, che è eccessivo.
Investire sulla scuola è una necessità. Lo abbiamo sempre detto e siamo contrari ai tagli a questo settore. Ma è anche vero che la grave crisi finanziaria del Paese (causata non da Monti, ma dai governi che lo hanno preceduto) impone a tutti dei sacrifici, perché le risorse complessive si riducono. In questa ottica e solo al fine di migliorare l’organizzazione complessiva della scuola non mi sembra irragionevole prevedere un piccolo aumento di ore frontali in cambio di stipendi migliori e di uno snellimento di certe incombenze burocratiche che sono spesso una perdita di tempo. Ovviamente sono opinioni personali.
Claudio Turrini