Toscana

Lutto nel mondo accademico, è morta Giovanna Ceccatelli Gurrieri. Il ricordo di Franco Cardini

Da noi, alcune persone – poche – rispondono nel sentire comune a questo sentire tradizionale. Già professoressa ordinaria di sociologia presso l’Università di Firenze, Giovanna Ceccatelli Gurrieri, la nostra Gianna, apparteneva all’Olimpo degli happy few che non possono scomparire altrimenti il mondo non sarebbe più lo stesso. 

Gianna ed io ci conoscevamo e ci volevamo fraternamente bene “da sempre”: vale a dire da quando avevamo più o meno una tredicina di anni. Un’adolescenza insieme, nel favoloso “rione” di Porta Romana (chi non lo ha conosciuto non sa che cos’era la dolcezza del vivere); e quindi nel ginnasio Machiavelli di fronte a Palazzo Pitti, e poi ancora nelle severe aule del leggendario liceo Galileo (dal quale comunque, dopo la prima classe, io trovai il modo di farmi cacciare).

Sempre insieme. E con noi tanti altri amici, a cominciare da Lorenzo Sanpaolesi, il figlio del grande architetto Piero, nel favoloso attico del quale al sesto piano di un palazzo nella piazza di Porta Romana da cui si godeva un panorama mozzafiato di Firenze noi ci rifugiavamo  ogni giorno, in teoria per fare i compiti, in realtà per farci un sacco di risate, per ascoltare musica tratta dalla sterminata discoteca classica del Professore (oh, fascino dei 78-45-33 giri!)  e per vuotargli il generoso bar.

La politica era il nostro argomento preferito: politica da vecchia, cara Prima Repubblica. Ed eravamo gatta e cane,  rouge et noir. Innamorati entrambi della guerra civile spagnola del ’36-’39, sull’argomento sapevamo tutto: i campi di Castiglia, Garcia Lorca, Cara al Sol e Los cuatro generales. Solo che lei ammantava tutto dei colori di Per chi suona la campana di Hemingway, io di quelli di Gilles  di Drieu La Rochelle. E ci calavamo nei nostri personaggi favoriti: nella corrispondenza tra la giornalista-miliziana Simone Weil, fedelissima alla repubblica di Largo Caballero ma inflessibile denunziatrice della ferocia di anarchici e comunisti e degli incendiari di chiese, e il cattolico tradizionalista George Bernanos, che abitava un’isoletta delle Baleari e, padre di un tenente della Falange, ammirava senza riserve quel meraviglioso capo che fu José Antonio Primo de Rivera ma non esitava, nello splendido e terribile I grandi cimiteri sotto la luna, a stigmatizzare con orrore le violenze inaudite dei nacionales.

C’era, tra Gianna socialista romantica e me, cattoreazionario-rivoluzionario, una Concordia discors animata da un affetto fraterno profondo, che venne ribadito quando Gianna sposò un altro caro amico, Francesco Gurrieri. Purtroppo, negli ultimi anni, abbiamo avuto pochi momenti per incontrarci: ma sempre intensi ed alcuni bellissimi, come quando abbiamo seguito l’intelligente ed entusiastica iniziativa librario-editoriale del loro figlio con momenti davvero molto alti, quali il memorabile incontro con uno Stefano Malatesta (l’autore di un capolavoro della letteratura odierna di viaggio, Il cammello battriano),  che quando lo ricevemmo a Firenze era già molto ammalato ma ancora pieno di vita e di humour e, già quasi immobilizzato nella sua sedia a rotelle, per nulla al mondo volle rinunziare alla sua “fiorentina” alta tre dita e al suo gelato in Piazza Frescobaldi, ai piedi del ponte a Santa Trinita.

Me la ricordo così, la Gianna. Affettuosa, generosa,  sorridente, sempre pronta alla polemica cordiale e all’ironia. Cattolici suo marito Francesco e io, “socialista del cuore” lei, senza pregiudizi né superstizioni ideologiche ma perché innamorata della vita e del genere umano: e quindi naturaliter cristiana, della razza di chi non dice di continuo “Signore, Signore” ma Gesù se lo porta dentro.

Ciao, Gianna, starai per sempre con noi.

Franco Cardini