Lettere in redazione
L’uomo non è padrone della vita
Un paziente in coma permanente è in definitiva il tragico risultato di un intervento di alta tecnologia. La sua visione è indubbiamente angosciante. Alcuni di questi soggetti non sono in grado di alimentarsi da sé. Per pietà e nella speranza di un ipotetico risveglio viene applicata la nutrizione parenterale totale (NPT), che non richiede nessuna macchina.
L’attenzione alla nutrizione del paziente è nata probabilmente con la medicina. Avicenna (980-1037) diceva, indicando i malati: «Non li spaventiamo, signori. Spesso non riusciamo a salvarli, talvolta la nostra cura li uccide. Cerchiamo almeno di non farli morire di fame» (In G. Cosmacini, L’arte lunga, ed. Laterza 2008 p. 152). A nessuno di noi, quando si alimenta, passa per la testa che sta facendo un trattamento terapeutico. Quello che è discutibile è il modo in cui alimentiamo i pazienti in coma e se ha un senso continuare a farlo.
Se proprio vogliamo porre termine a quel che rimane di Eluana Englaro, perché dobbiamo farlo sospendendo l’alimentazione? Perché farla morire di fame? La risposta è semplice: nelle sue condizioni non esistono percezioni per cui non avvertirà né la fame né la sete. Diamo per scontato che sia così, ma il suo organismo avvertirà la mancanza di acqua e metterà in atto tutti i normali meccanismi per ridurne le perdite (diminuirà la diuresi ad esempio) e la carenza degli elementi nutrizionali da cui trarre energia. Sarà una vera morte per fame.
Sarebbe questa l’ eutanasia, la «dolce morte»? Non sarebbe più umano usare un metodo più rapido? Una dose di cianuro ed in un minuto tutto è finito!
Tra le tante cose che si leggono in questi giorni su internet si trova anche chi esulta perché Eluana può essere finalmente «liberata» dalla sua forma di vita inferiore, facendola morire di fame! Solo in preda ad una follia sadica si può pensare ad una soluzione simile o forse non si ha idea di che cosa significhi morire di fame. I barbari erano più civili: ti davano una mazzata e ti uccidevano!
Vede, caro dott. Rossi, le sue considerazioni su quanto affermato nel recente Convegno a Firenze (Prematuri, l’autogoal degli scienziati), dove alcuni neonatologi hanno discusso su quando un neonato possa essere considerato persona e perciò degno di cure problema che si ripresenta drammaticamente proprio in questi giorni con la autorizzazione della Cassazione a sospendere la nutrizione e l’idratazione di Eluana Englaro, condannandola così a morte hanno la loro radice nella risposta semplice e terribile che si dà a questa domanda: «l’uomo è padrone della vita»?
Per noi cristiani no, ma io credo anche per tanti «laici», giustamente preoccupati di dare ad alcuni il diritto di decidere chi sia degno di vivere e chi no, siano essi medici, magistrati, lo Stato stesso. Una società che consente questo si imbarbarisce e gli esempi purtroppo non mancano nel passato e anche nel presente; pensiamo solo a quanto avviene in Olanda, proprio a proposito dei neonati.
Chi sostiene questo fa riferimento, come sempre, a casi estremi e pietosi, ma il movente è tutto ideologico: introdurre nella legislazione italiana l’eutanasia.
Certo il nostro fermo no, non può rimanere sul puro piano dei principi. Vi sono delle situazioni che ci inquietano e ci fanno pensare: soprattutto ci obbligano a impegni concreti, come singoli e come società, anche perché il peso da portare per tante famiglie è pesante e a queste vanno assicurati concreti aiuti. È il compito dei servizi sociali, ma anche delle Misericordie e della Fratellanze militari, che del resto già lo fanno. E se l’aiuto sarà rapido e concreto le famiglie si sentiranno sollevate. Spesso certe decisioni dolorose nascono dalla paura di dover affrontare in solitudine situazioni pesanti da gestire ogni giorno magari per anni.