Tema di quest’anno: «Nostalgia di speranza». Il primo giorno dopo un’introduzione di Marco Bonci, direttore dell’Ufficio Scuola della diocesi, è stata affrontata la tematica «Quale speranza per l’uomo?». Donatella Pagliacci dell’università di Macerata ha iniziato la sua relazione partendo dal concetto di speranza richiamando l’idea di Giovanni Paolo II «Varcare la soglia della speranza» dove la soglia è un ostacolo tra dentro e fuori, ma è anche accoglienza. La relatrice ha detto che pensare la speranza implica fare qualcosa.E’ importante cogliere i nuclei più problematici dell’epoca attuale come l’individualismo delle preferenze. «Questo fenomeno si sviluppa soprattutto nella dimensione affettiva. Dobbiamo ridare cittadinanza alle emozioni. Oggi c’è il primato della relazione corta: io e tu, relazione duale che rinuncia alle caratteristiche della relazione vera (a tre) come: la durata, l’impegno, la fedeltà, la generalità». La Pagliacci è passata poi al progetto culturale della Chiesa italiana, che in laboratori fa circolare tematiche forti come quella della speranza. Ma che cosa significa per i cristiani ripensare la speranza? «E’ una risposta a una chiamata; un evento da vivere nel segno della testimonianza. La speranza ci attiva. Il testimone è colui che è stato affetto da ciò che ha visto. Ecco che la testimonianza cristiana è a servizio della speranza».E’ seguito l’intervento di Paolo Nepi, docente di filosofia morale all’università di Roma Tre. «La speranza è una componente dell’anima – ha iniziato il relatore – ed essa richiede un impegno più a fondo. In questi fondali, la nostra anima è in difficoltà. L’anima può avere delle malattie come la depressione, l’angoscia, la disperazione, il suicidio lento. I problemi dell’anima sono come il sonno; le malattie dell’anima a volte non si percepiscono. L’anima è sana quando sa guardare a un futuro che non ha chiuso le porte. La speranza è una disposizione dell’anima a vedere un senso delle cose». «Nella modernità – ha continuato il relatore – vi è da una parte la grande speranza dell’uomo maggiorenne, cioè l’uomo che la scienza avrebbe liberato dai pregiudizi, superstizioni, dominazioni dei dogmi.e dall’altra una forte entropia di speranza cioè una consumazione continua di speranza. La crisi religiosa del dubbio ha smantellato tutte le altre certezze e la crisi della fede produce la crisi della speranza». Altra crisi della speranza è la crisi della ragione storica che è una crisi di progettualità. «L’individuo vive l’attimo presente. Ma la speranza ha bisogno di collocarsi tra un passato, presente e futuro». Ha proseguito Nepi: «La speranza si conquista a caro prezzo, sperando nell’uomo e in Dio si diventa testimoni di speranza. E’ necessario ritessere tessuti comunitari».Il secondo giorno è stato all’insegna della «Speranza cristiana». Don Dino Liberatori, docente di Sacra Scrittura, ha affrontato il tema dal punto di vista biblico. Ha iniziato la sua relazione dicendo che Gesù non ha mai usato la parola speranza, ma ha sempre parlato di fede. «La Bibbia è un pellegrinaggio di persone il cui punto di partenza è il disagio, il deserto. La storia è un cammino di continuità e di superamento. Cristo ha detto che possiamo vivere meglio qualunque cosa accada. Tra gli avvenimenti e noi c’è l’interpretazione che noi diamo». La vita ci offre delle opportunità e dobbiamo usare le difficoltà senza lasciarci guidare dagli avvenimenti. I sintomi di non speranza sono: la verbosità dei vuoti discorsi, l’esigenza costante della discussione, l’irrequitezza, l’instabilità della decisione, le varie forme di nevrosi. Ha affermato don Dino: «Siamo pellegrini, in viaggio. Gesù entra nel mare, nella instabilità umana. Gesù ci chiede un ascolto intelligente. La forza delle parabole del seme sta nel fatto che il regno c’è, è qui, è adesso ed è in Gesù. Chi accoglie con fede il regno già lo possiede».Monsignor Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo, ha riflettuto sulla categoria della speranza nella teologia e nel magistero della Chiesa. «Ratzinger, nel suo volume Introduzione al cristianesimo afferma che è in atto una redenzione del mondo e quindi vale la pena essere cristiani: “Dio mediante la resurrezione di Cristo ci ha rigenerati per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe e questa eredità è conservata nei cieli per voi”. La speranza è una realtà già data». Monsignor Chiarinelli ha citato Kant che sta alla radice del criticismo moderno il quale si pone tre domande: che cosa posso conoscere; che cosa debbo fare; che cosa mi è lecito sperare. Da qui, ha detto il relatore, nasce una riflessione che abbiamo percorso in questi secoli. «Negli anni ’60. sul piano ecclesiale emergono le contraddizioni del post concilio e sul piano del pensiero la debolezza . Negli anni ’80, invece, abbiamo dimenticato il futuro». Ora, ha detto il vescovo, c’è una cultura dell’oggi. «La filosofia dell’Illuminismo è lo svuotarsi degli assoluti; essi sono crollati. La Chiesa italiana ha fatto una grande scelta proponendo il tema della speranza. Si è passati dal cronos al Kajros. Il cronos è il cammino che tutti facciamo e quando tocca l’eterno abbiamo il Kajros cioè quella realtà di grazia che aiuta a cogliere i ritmi del cammino e ad individuare il punto di arrivo, il compimento. Tutti i sinodi hanno avuto come tema, la speranza». Perché la Chiesa ha una speranza da offrire? «Perché il Vangelo è una notizia di speranza che ha un volto ed è Gesù Cristo» Poi monsignor Chiarinelli si è interrogato su che cos’è sperare. «Non confondiamo speranza con attesa. L’attesa è concentrazione su eventi che si attendono ed è legata alla natura. La speranza è inserita nella persona. Nella speranza cogliere le due dimensioni: la persona e la fedeltà, altrimenti il termine è ambiguo. Su questo si collocano le coordinate della speranza che sono quelle che costituiscono lo statuto della persona: la coscienza del proprio limite e la libertà». Poi il teologo ha spaziato dicendo che il Cristianesimo è la religione del futuro, di coloro che hanno fame e sete di giustizia. E’ la religione di un futuro trascendente, assoluto. Essa ha un suo futuro perché la molla del suo movimento è il Regno di Dio che è Cristo.di Lucia Zamboni