Qualche giorno fa ha preso carta e penna. E ha scritto un’accorata lettera alle istituzioni, questore, prefetto sindaco, per dire basta al degrado che circonda il Pin, il Polo universitario pratese. Con la piazza dell’università, la stazione e il vicino parcheggio del Serraglio teatro di spaccio e di consumo di droga. «L’ho concepita come un dovere», racconta adesso Maurizio Fioravanti, professore di Giurisprudenza a Firenze e presidente del Pin. «C’è stato un deterioramento della situazione con la sicurezza compromessa per gli studenti e i diciotto dipendenti. Mi premeva fare qualcosa per un degrado che si è fatto pesante, con un picco negli ultimi mesi. Questo è diventato un luogo di spaccio e di consumo di stupefacenti. Ultimamente queste persone sono entrate nella sede, impegnando il nostro personale in un’azione di dissuasione».È preoccupato, Fioravanti. Ma il suo tono è pacato. «Spacciatori e drogati, una ventina, sono dei derelitti. Bisognerebbe riuscire a parlarci, trovare una via d’uscita per loro. La tendenza a volte è quella di semplificare; ci si divide fra tolleranti e intolleranti. Io non ho ricette. Ma non si può abbassare la testa e far finta di non vedere. Ci sono persone in fragranza di reato, alla luce del giorno. Pare che in via Pier Cironi ci sia stato un intervento pù deciso e che, a seguito di quello, abbiano risalito via Magnolfi per arrivare al Serraglio e al Pin. Magari chiedono l’elemosina, anche agli studenti: se non danno niente ci possono essere episodi di sfida. E qui nasce la tensione…».Teme effetti negativi sulle iscrizioni?«Non credo che sia così meccanico. Ma qui abbiamo tanti fuori sede: il 19% dei circa 1300 studenti – ovvero 250 persone circa – che vengono da altre regioni. Se vengono a fare una visita e si trovano una situazione di questo tipo, che possono pensare? Il discorso è anche un altro. Le istituzioni hanno deciso di investire sul Pin, qualche anno fa. In questo modo, c’è un po’ il deprezzamento dell’investimenso stesso. Quello che vorrei ricordare è che noi siamo un mezzo di contrasto. Se non ci fossimo noi, una presenza viva nel cuore della città, qui sarebbe peggio… Abbiamo una funzione sociale, anche per i tanti contatti con il territorio».Che cosa le hanno risposto le istituzioni?«Ho incontrato il sindaco Cenni, l’assessore Milone e il capo dei vigili urbani. Presto sarò convocato dal comitato per l’Ordine e la sicurezza. Vedremo le soluzioni. I militari hanno avuto un’efficacia relativa: la sicurezza che questi spacciatori mostrano denota che sentono il territorio loro. Chiudere l’accesso a una piazza pubblica usata da cittadini e pendolari non è possibile, certo, e non è quello che chiedo. I nostri studenti sono ventenni e mi paiono ragazzi a posto, ma non posso escludere che ci sia qualche consumatore anche fra loro. E se l’acquisto di droga fosse avvenuto nella nostra sede, mi sentirei particolarmente responsabile».Al di là del problema specifico, il Pin, che lo scorso anno ha compiuto vent’anni si è affermato con un proprio ruolo a Prato.«Sì, in occasione dell’anniversario è emerso il profondo radicamento sul territorio. Ci reggiamo su tre gambe, diciamo così. Una è quella dei corsi universitari, naturalmente. Ma ce ne sono altre due: quella dell’alta formazione, con 33 corsi attivati (si va dall’acustica ai corsi IFTS, ai corsi in collaborazione con aziende private…). E poi c’è la ricerca con ben ventuno laboratori organizzati in tutte le facoltà, in campi che vanno dall’ingegneria all’economia e marketing fino al mercato del lavoro. I laboratori sono i nostri fiori all’occhiello e rappresentano un trait d’union con il territorio. Abbiamo rapporto con circa 300 aziende per progetti di ricerca e innovazione, partecipando a bandi europei e regionali».Naturalmente, ci sono i corsi universitari…«Sì, i nostri corsi sono in diversi nuclei: quello sanitario, con percorsi di alta qualità in collaborazione con la Asl di Prato per la formazione infermieristica o dei tecnici radiologi (400 studenti in tutto). C’è poi l’economia, che ha portato qui un ramo delle scienze aziendali e del marketing per una triennale in collaborazione con Unione industriale, Camera di Commercio e Fondazione Cassa di risparmio di Prato (qui c’è un nucleo consistente di fuori sede, fra i 300 studenti totali del corso). C’è poi la facoltà di lettere, con il percorso 3+2 completo nei corsi Progeas (Progettazione e gestione di eventi e imrpese dell’arte e dello spettacolo) e Prosmart (Produzione di spettacolo, musica, arte, arte tessile). C’è poi Scienze politiche che ha qui il corso del professor Carlo Trigilia, ora ministro per la Coesione territoriale, dove si studiano e si analizzano le politiche per lo sviluppo locale, una specialistica che forma una ventina di manager molto qualificati in questo campo. E ancora il Mesl, master europeo per la scienza del lavoro, della professoressa Franca Alacevich. Ingegneria non ha più studenti a Prato, per una razionalizzazione operata dall’università di Frenze. Qui è rimasta una forte base di ricerca ingegneristica, con i laboratori dove lavorano laureandi, assegnisti e dottorandi. Alcune delle eccellenze sono la galleria del vento e le nostra attività nella prototipazione, ma anche nella logistica».Lo scorso anno la Camera di commercio ha deciso di uscire dalla società del Pin. Qual è stato il contraccolpo?«La Camera di commercio è stata uno dei soci fondatori. Lo scorso anno ha deciso di uscire dal patto sociale del Polo – formato da università di Firenze, Comune e Provincia di Prato, Fondazione Cassa di risparmio. Ha deciso però di rimanere sui singoli progetti di volta in volta. Direi che il dissenso è rientrato completamente, come mi ha confermato il nuovo presidente Luca Giusti».Una università australiana, una americana, tra poco anche una araba, con una sede in città. Prato diventa sempre più città campus?«Qualche settimana fa si è tenuta qui la festa del Campus Week insieme con la Monash e l’università del New Haven. Quando incominciai a occuparmi del Pin scrissi un breve saggio che chiamai “Prato città universitaria”. Non si inventa la storia, certo, e Prato non sarà mai Siena o Urbino. Ma possiamo essere qualcosa di diverso in cui l’università svolge un ruolo nel territorio».Il problema degli alloggi e della mensa che non c’è sono alcune delle questioni aperte. Dica la verità, un pensierino al vecchio ospedale ce l’ha fatto…«Eh, perché no? Leggo con interesse delle varie idee che ci sono intorno al futuro del vecchio oepsdale. Il Polo universitario si sta sviluppando e fra breve non ha più spazio, ad esempio per la biblioteca che continua a crescere, o per i laboratori che hanno trovato spazi in affitto in via Filicaia (dove c’erano i telai ora ci sono macchine di ingegneria). Serviranno, certo, spazi per gli alloggi degli studenti fuori sede (già qualcosa è stato fatto con il porpogetto Habitat insieme al Comune) e per la mensa. Il vecchio ospedale? Perché no, perché no?».