Opinioni & Commenti

L’unità dei cristiani nel Dio a cui non servono guardie del corpo

Il reciproco chiamarsi a raccolta che avviene ogni anno nel mese di gennaio per condividere la vocazione all’unità fra credenti di confessioni diverse risuona in questi giorni nel mondo con drammatica urgenza. Lo straordinario testo che il Vangelo di Giovanni dedica all’incontro di Gesù con la donna samaritana è al centro della riflessione comune. «Dammi da bere» furono le parole di Gesù alla donna mentre attingeva acqua dal pozzo di Giacobbe, parole trasgressive delle barriere che dividevano donne e uomini, popoli, culture e religioni. Allora come oggi.

Attraverso la condivisione di un bisogno primario, Gesù disse la sua sete di incontro nella comune umanità. Partì dalla sua sete d’acqua per toccare con delicatezza corde profonde nell’animo della sua interlocutrice. Senza forzare Gesù accompagnò la donna alla condivisione delle sue ferite, dei suoi fallimenti, delle sue speranze. Da allora Gesù ci aiuta a non guardare le persone dall’alto, attraverso le lenti del pregiudizio religioso e culturale, ma a riconoscere negli altri, diversi da noi, il bisogno primario di essere accolti e ascoltati senza riserve per quello che sono, laddove si trovano.

Tutto, ma davvero tutto nella riflessione a più voci su questo testo ci porta all’oggi con i suoi bisogni e le sue urgenze. La sete, quella di acqua, ci parla di un mondo in cui le risorse della terra sono state saccheggiate e accumulate nelle mani di pochi. Chi ricorda più che il 2015 sarebbe stato l’anno in cui dovevano essere raggiunti gli Obiettivi del millennio, fra i quali quello di sradicare la povertà estrema, rendere universale l’educazione primaria, ridurre la mortalità infantile e quella materna e assicurare per tutti la sostenibilità ambientale? Nessuno l’ha ricordato in questo inizio di anno. Una sete dimenticata.

E poi la sete di accoglienza al di là delle diversità di genere, di cultura e di religione. Cosa dire a chi al contrario rifiuta l’incontro con gli altri fino all’estremo di sopprimerli al grido blasfemo di «dio-lo-vuole»? O quanta pena nel considerare che la casa non è più per molte donne e bambini il luogo della protezione ma quello delle insidie e dei pericoli? Dio, qualsiasi sia il suo nome, ci accoglie e ci ama così come siamo. Si prende cura di noi. Non ci giudica. E ci chiede di fare lo stesso. L’incontrarci, il parlarci, l’ascoltarci ci disarma se impariamo a farlo. Possiamo giudicarci ed ucciderci fisicamente e metaforicamente soltanto se rifiutiamo di riconoscerci nella comune umanità ferita. Abbiamo sete, tanta sete di essere abbracciati, di essere rispettati, di essere protetti.

E abbiamo infine sempre sete di libertà, libertà di essere noi stessi e di poterci esprimere liberamente. Si è discusso in questi giorni se sia giusto rispettare la libertà di espressione di tutti anche di chi fa satira antireligiosa. Provenendo dalla tradizione battista che dal 17° secolo in poi ha sostenuto il principio della libertà di religione e di coscienza, compresa quella di chi non professa alcuna fede, penso che la libertà di espressione vada rispettata se non inneggia alla violenza e alla discriminazione. I cristiani credono in un Dio che è venuto nel mondo come un uomo disarmato che ha testimoniato della verità con semplicità a tu per tu, come avvenne con la donna samaritana, e pubblicamente. Alla fine, come umanità, abbiamo cercato di calpestare quella verità uccidendone il Testimone, ma la notizia inaudita nella quale i cristiani credono è che Dio ha risuscitato Gesù e ridato respiro eterno alla verità della sua parola. Non dobbiamo aver paura della libertà anche di chi non crede. Dio è Dio, non ha bisogno di guardie del corpo o di eserciti armati. Le guerre le facciamo noi e perciò non sono mai sante.

*Pastora della Chiesa Battista

Le iniziative della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani