Opinioni & Commenti
Lucio Dalla: il funerale, le polemiche e la Toscana
Il compagno», titolava La Nazione, in prima pagina, lunedì 5 marzo, sulla grande foto di Marco Alemanno in lacrime. Il quotidiano sceglieva così di spostare l’attenzione dal funerale di Lucio Dalla a quella che nelle pagine interne definiva «ipocrisia travestita da rispetto». Tutti insomma sapevano (o dovevano sapere) che quello era «il compagno» di Dalla e non «uno strettissimo collaboratore» o «un amico molto legato all’artista».
Anche per La Repubblica «il compagno in chiesa rompe il velo dell’ipocrisia». E così per molti altri giornali in una sorta di poco spontanea chiamata alla armi dopo la miccia accesa da Lucia Annunziata su RaiTre. Si dice che twitter, nel pomeriggio di domenica, abbia fatto la sua parte. Comunque sia ancora una volta, in modo più o meno organizzato, si è voluto mettere la Chiesa con le spalle al muro tanto che padre Bernardo Boschi, il confessore di Lucio Dalla, ha parlato di «una vendetta dei gay» che «volevano fare del cantante una bandiera», mentre lui «non ha mai voluto conclamare la propria omosessualità».
Il vicario generale della diocesi di Bologna, Giovanni Silvagni, ha precisato che quella di domenica scorsa in San Petronio «non è stata la celebrazione di un funerale omosessuale, ma il funerale di un uomo». E la comunità cristiana, aggiungiamo noi, accompagna con la preghiera ogni uomo al cospetto di Dio. Questo è il funerale, almeno per i credenti. A giudicare, poi, non saranno gli uomini, ma Dio stesso nella sua infinita misericordia.
Premesso questo, si può dire con altrettanta onestà, che la scelta di celebrare il funerale di Lucio Dalla in San Petronio sia stata impegnativa, nel senso che la Basilica bolognese di Piazza Maggiore è per i bolognesi un po’ come la cattedrale. Per capirsi sarebbe stato come celebrarlo in Santa Maria del Fiore a Firenze. Così come, con altrettanta onestà, dobbiamo notare una sorta di «beatificazione» a furor di popolo che non ricordiamo per altri artisti. Lo diciamo, ovviamente, senza mettere in discussione il grande valore artistico di Lucio Dalla.
Premesso tutto questo, non ci resta che sottolineare la vigliaccheria di tutti coloro che hanno sfruttato la morte di una persona per la propria battaglia ideologica.
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La polemica seguita al funerale ha buttato all’aria anche la nostra idea di ricordare Lucio Dalla in chiave toscana. Lo facciamo brevemente ricordando solo un paio di fatti: il primo riguarda Prato. Era il gennaio del 2011. Lucio Dalla era venuto al Teatro Metastasio per assistere a uno spettacolo con Piera degli Esposti. In quell’occasione partecipò alla Messa prefestiva del sabato in duomo, visitò la cattedrale e gli affreschi del Lippi, rimanendone affascinato. «La messa è stata bella, in una chiesa bella: un momento che ci vuole, che serve a noi», disse alla giornalista Lucia Pecorario che lo intervistava. «Prato la conosco. Mi mancava il duomo, una grave mancanza, mi rendo conto. Ma spesso passiamo di qua, abbiamo poco tempo. Quel tempo che mi sono preso oggi per visitarlo, finalmente». C’è un altro aneddoto che lega il cantautore emiliano ora scomparso con la città toscana. Lo ha raccontato, nell’imminenza della morte di Dalla, un altro cantautore, Francesco Guccini, al Corriere di Bologna: «Ricordo che una sera andammo in macchina a Vergaio, dove abitava Benigni, che allora era agli inizi della sua carriera e faceva Cioni Mario, per registrare le sue gag: con i genitori di Benigni tutti intimiditi che ci offrivano il caffè guardandoci come degli alieni materializzati in salotto».
Il secondo fatto riguarda Arezzo, città tra le mete preferite di Lucio Dalla, in Toscana. Qui, il cantautore bolognese era stato in visita più volte, l’ultima delle quali a dicembre. In quell’occasione aveva visitato la Fiera Antiquaria e il centro storico, accompagnato dall’amministrazione comunale. Dalla stava pensando anche di acquistare una casa nell’Aretino. Tra le altre cose il cantautore aveva iniziato una collaborazione con il Comune di Arezzo per la realizzazione di un Festival in città, dedicato a Guido Monaco, l’inventore della notazione musicale. «Mi hanno proposto una collaborazione aveva detto durante la sua ultima visita e io ho detto subito di sì. La vostra è una città piccola, nel senso buono del termine, dove si può lavorare bene, c’è la stoffa, ha tanta arte ma non è un museo, ha capolavori che possono essere vissuti nel quotidiano, e veramente straordinaria. E se penso a qualcosa non è solo limitata a concerti ma all’arte in genere, senza steccati».