A Firenze sono state dedicate tre giornate del mese di maggio alla sensibilizzazione sulla tratta degli esseri umani e in particolare delle giovanissime donne schiavizzate e costrette a lavorare in strada. Gli appuntamenti, contraddistinti dal titolo «Un’altra strada è possibile», sono iniziati la mattina del 3 maggio con un seminario finalizzato alla conoscenza di questa realtà e si sono conclusi il 5 con la corsa podistica da Firenze a Viareggio, attraverso le città più interessate dal fenomeno della prostituzione. A unire e a dare forza a queste due iniziative c’è stata la veglia di preghiera «Mandati a liberare dalla schiavitù: la tratta degli esseri umani interpella la nostra responsabilità», la sera del 3 maggio e presieduta da padre Alessandro Bedin, responsabile del Centro Diocesano Migrantes di Firenze. Il luogo individuato per il momento di preghiera, la chiesa di Santa Maria a Novoli, non è stato il frutto di una scelta casuale, la parrocchia è infatti il punto di ritrovo dei volontari dell’Unità di Strada, che una volta alla settimana si riuniscono per andare incontro alle ragazze sfruttate sui nostri marciapiedi cittadini. Una volontaria racconta così, per Toscana Oggi, questa esperienzaLa prima volta che sono uscita con il gruppo dell’Unità di Strada era il 12 gennaio 2017, ricordo bene quella sera e ricordo bene quel periodo della mia vita. Qualche mese prima, infatti, avevo letto l’«Evangelii Gaudium», l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco; inutile dire che le parole del Papa erano fin troppo chiare per essere fraintese, mi avevano toccato nel profondo. Sentivo di essere stata salvata dall’Amore di Dio e a mia volta volevo continuare a portare quell’Amore incontrato, soprattutto, dove apparentemente era più difficile trovarlo. Vivevo così quei mesi facendo risuonare dentro di me il messaggio di Papa Francesco per capire come metterlo in pratica nella quotidianità.La sera di quel 12 gennaio andai nella parrocchia di Santa Maria a Novoli, perché sorella Costanza guidava degli incontri che, per l’appunto, erano sull’Evangelii Gaudium. A fine incontro proprio sorella Costanza si avvicinò a me, dicendomi: «A minuti si esce con l’Unità di Strada, vieni?». Ecco, ringrazio la Provvidenza Divina che ha messo sulla mia strada quell’invito, che mi lasciava pochissimi tempo per decidere, dandomi la possibilità di affidarmi completamente a Dio. Accettai la proposta e partii con il gruppo. Da quel giorno i momenti che porto nel cuore sono troppi per essere descritti sinteticamente. Vorrei sfatare il mito di chi pensa che per far parte dell’Unità di Strada servono mesi di preparazione per capire come muoversi e cosa dire durante le uscite. Tutto ciò che serve a queste ragazze schiavizzate, sono piccoli gesti semplici, concreti e fatti col cuore: un abbraccio, una carezza, un po’ di tè caldo e un «come stai?». Non servono grandi discorsi, solo un po’ di dolcezza e delicatezza. Queste giovani hanno bisogno di essere considerate non come oggetti, ma come persone, hanno bisogno di qualcuno che riesca a vedere la loro vera bellezza, che supera di gran lunga la sessualità, hanno bisogno di qualcuno che le ascolti e che si prenda cura di loro, facendole sentire ancora amate. Ho capito, inoltre, che alla fine sono loro a condurci a Dio; dopo tutte le sofferenze subite la loro fede è smisurata: sanno ringraziare il Signore per ogni piccola cosa, sanno confidare in Lui. Non dimenticherò mai le parole di una ragazza che disse: «Io so che Dio mi ama, perché non mi ha fatto morire in Libia». E quando, talvolta, ci riuniamo in cerchio per pregare insieme, ci stringiamo le mani e mi rendo conto che quel gesto è un vero scambio della pace: tocchiamo con passione le mani del nostro prossimo, indipendentemente da quello che ha fatto e, uniti, riponiamo nel Signore le nostre intenzioni.