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L’Onu segna il passo ma le guerre diminuiscono

di Romanello CantiniForse erano troppe le attese legate al vertice per il sessantesimo anniversario dell’Onu. Certamente sono troppo pochi i risultati. Sui grandi problemi si è segnato il passo. Non si è raggiunta una soluzione sull’allargamento del Consiglio di sicurezza dove non c’è stato accordo sui nuovi papabili come membri permanenti. La Cina ha sbarrato il passo al Giappone, l’Italia alla Germania, l’Algeria all’Egitto. Non si è riusciti ad intendersi nemmeno su una definizione precisa di terrorismo visto che c’è chi invoca una condanna generale e chi invece considera resistenza patriottica gli attentati in Palestina e in Iraq. Perfino un documento sulla legittimazione della ingerenza umanitaria all’interno dei singoli paesi per proteggere le popolazioni dai crimini più gravi è stato bloccato dalla opposizione di paesi come la Cina, l’India e l’Algeria che temono evidentemente per eventuali scheletri nell’armadio. Fermi si è rimasti anche nella creazione di una nuova commissione sui diritti umani dopo che quella esistente si è ridotta ad essere presieduta due anni fa dalla Libia e ha avuto come propri membri paesi come l’Arabia Saudita e il Congo. Non è passata nemmeno l’idea di un esame preventivo sul rispetto delle libertà all’interno dei vari paesi candidati. Anche la proposta di Kofi Annan di stabilire un contributo dei paesi ricchi al Terzo Mondo in ragione dello 0,7 per cento del proprio reddito nazionale è rimasta sulla carta.

Eppure, anche se in concreto non si è arrivati per il momento a nessuna soluzione precisa, questi problemi sono ormai sul tappeto e il fatto che alla fine si sia raggiunto un accordo su un documento comune, anche se abbastanza generico, dimostra che non c’è da parte di nessuno la volontà di mettere definitivamente in crisi l’organizzazione battezzata sessant’anni fa a San Francisco e di non procedere nella ricerca di una sua riforma. L’importante è che, nonostante tutto, il Palazzo di Vetro riesca ancora a richiamare i potenti della terra a fare i conti con i problemi globali del pianeta e a confrontarsi con quel clima universalistico che si respira nella assemblea di fronte ai quasi duecento rappresentanti degli stati del mondo. Così nel suo discorso all’Onu perfino Bush è stato costretto ad ammettere che il terrorismo «si nutre della collera e della disperazione» che non si possono risolvere evidentemente con la cura delle armi ed ha promesso l’abolizione delle sovvenzioni alle esportazioni agricole americane che, come noto, eliminano dai mercati i prodotti del Terzo Mondo.

Al di là della liturgia obbligata di un anniversario, forse questo non era il momento migliore per arrivare ad accordi precisi sulla organizzazione e sul ruolo dell’Onu anche per una certa debolezza dei protagonisti in campo; Kofi Annan che è sfiorato dallo scandalo del «Petrolio contro cibo» al tempo di Saddam; Bush che è impantanato in Iraq; l’Unione Europea che è divisa e incerta sul suo futuro. Ed in ogni caso, visto il meccanismo estremamente conservatore per cui le riforme dell’Onu si fanno con la unanimità dei membri permanenti del Consiglio o con i due terzi dell’Assemblea, sarà soprattutto la società civile a premere per il cambiamento.

Nel frattempo, nonostante gli insuccessi e le critiche di burocratismo e di impotenza che spesso si scaricano sull’Onu, già per quanto riguarda solo la difesa della pace settantamila Caschi blu sono sparsi per il mondo a cercare di sedare decine di conflitti potenziali e che in queste operazioni finora quasi duemila soldati dell’Onu hanno perso la vita. Uno studio recente ci dice che i conflitti sul totale del pianeta che erano 51 quattordici anni fa, oggi si sono ridotti a 20. Questa ghettizzazione progressiva della guerra sulla faccia del mondo ha, fra le altre cause, anche le più frequenti missioni di peacekeeping dell’Onu.

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