Vita Chiesa

L’omelia del card. Betori per Ognissanti: “Oggi è la festa della santità come possibilità offerta all’uomo”

Di chi oggi la Chiesa ci invita a far festa? Chi sono “Tutti i Santi” che danno il nome a questa solennità? Diciamo subito che non si tratta di tutti i santi del calendario liturgico, quasi che l’odierna celebrazione sia una specie di riassunto di memorie e feste che ci vengono proposte distintamente nei giorni dell’anno. E non si tratta neanche degli ancor più numerosi santi canonizzati dalla Chiesa lungo i secoli e fino ai nostri giorni che non trovano spazio nel calendario, costituendo un patrimonio di memorie e testimonianze che orienta e incoraggia il cammino dei credenti nelle varie regioni del mondo.

La quantità dei santi che oggi festeggiamo è ancora più ampia e corrisponde alla «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9), che il veggente dell’Apocalisse contempla mentre »stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio» (Ap 7,13). È l’umanità redenta e giunta alla pienezza dell’unione con Dio, compimento di un cammino attraverso la storia, radicato nel dono che Dio ha fatto del suo amore, quell’amore che l’ha rigenerata dalla schiavitù del peccato e aperta alla vera libertà dei figli, rimasta fedele a questa vocazione.

È oggi la festa della santità come possibilità offerta all’uomo. Nel novero dei santi oggi festeggiati vorremmo un giorno poter collocare anche noi stessi, santificati mediante il battesimo e chiamati a una vita santa nei giorni che ci sono dati. A questo popolo di santi noi apparteniamo ora nella speranza e siamo chiamati a rimanere fedeli nella risposta responsabile al dono di Dio. Non ci meraviglia pertanto che più volte, nelle sue lettere, l’apostolo Paolo, rivolgendosi ai fedeli delle comunità cristiane, li chiami santi: «santi per chiamata» (Rm 1,7; 1Cor 1,2), «santi e familiari di Dio» (Ef 2,19), «santi in Cristo Gesù» (Fil 1,1), «santi e credenti fratelli in Cristo» (Col 1,2).

Ma come passare dalla radice della santità ricevuta come dono al frutto della santità nella pienezza dei tempi? Il testo dell’Apocalisse ci offre una risposta precisa. I santi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Ap 7,14). La tribolazione, di cui uno degli anziani parla a Giovanni, non si riferisce a un particolare avvenimento, a una specifica condizione storica delle origini cristiane, a una delle persecuzioni che si abbatterono sulle prime comunità dei discepoli di Gesù, ma indica l’esistenza dell’uomo nel mondo e la sua connaturata fragilità, l’esistenza sottoposta alle sfide e alle aggressioni del male.

Ne siamo ben consapevoli anche noi, in questo nostro tempo che mette alla prova la fedeltà al Vangelo e cerca di oscurarne la verità, cercando di farci dubitare che la vita secondo la sua parola sia davvero una vita buona per l’uomo. Reagire a questi sospetti richiede una salda consapevolezza della fede, una valida capacità di argomentarla di fronte alla ragione umana, una consistente forza per incarnarla in modo credibile di fronte a tutti, con chiarezza e coerenza.

L’aspirazione alla felicità, che è nel cuore di ogni creatura umana, viene oggi indirizzata verso orizzonti diversi quando non antitetici rispetto alla figura della santità. Siamo sollecitati a cercare soddisfazione nel possesso di beni che il consumismo imperante vorrebbe imporre come bisogni che segnano la nostra inclusione in una società che emargina chi ne contesta i canoni vigenti. E, solo apparentemente in antitesi, le stesse culture egemoni ritengono che la vera felicità si raggiunga attraverso una realizzazione di sé legata solo all’impero della volontà, fino a piegare la realtà alla pretesa. Da questi presupposti scaturisce da una parte la chiusura nel soddisfacimento di piccoli obiettivi che escludono ogni apertura alla trascendenza, dall’altra l’approdo verso miraggi volontaristici, alimentati dalla virtualità, che eludono la condizione storica.

Le parole dell’Apocalisse ricordano poi che superare la tribolazione non è opera della buona volontà dei credenti, a cui è pur chiesto l’impegno nella storia, bensì un dono di Dio, una rigenerazione operata dall’offerta della vita di Cristo sulla croce: il suo sangue lava le nostre vesti e le fa risplendere della luce di Dio. La santificazione non risulta da un’ascesi, ma è la trasformazione attuata in noi dalla grazia di Cristo, da accogliere nel tempo e attendere nella speranza del suo compiersi alla fine dei tempi.

Il germe della santificazione è già in noi, come ha ricordato l’apostolo Giovanni nella sua lettera: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio» (1Gv 3,2). Essere figli di Dio ci è dato come un dono da far maturare verso la sua pienezza. Per questo la santità è una condizione, ma anche un compito da realizzare. Al credente è chiesto di accogliere il dono che lo trasforma. E l’accoglienza consiste nell’assumere nella nostra vita la logica delle beatitudini, a prezzo di una testimonianza contro corrente.

Alla presunzione dell’uomo che vorrebbe affermarsi nella sua totale autonomia e nel suo dominio verso i propri simili, Gesù contrappone la figura del povero che si affida completamente all’amore provvidente del Padre che è nei cieli. Chiede di essere capaci di vicinanza a ogni sofferenza dei fratelli, piangendo con loro, partecipi del loro dolore, soffrendo per il male che imperversa nel mondo – la guerra anzitutto! –, non lasciando che l’assuefazione al male prenda il sopravvento. Il suo progetto di vita vuole la rinuncia alla sopraffazione e alla violenza, per scegliere la via della mitezza, della benevolenza e dell’umiltà. La via di santità che Gesù ci mostra esige poi che si ricerchi con tutto sé stessi la giustizia, nel compimento della volontà di Dio. Non basta però un adempimento del precetto divino, occorre che esso sia accompagnato dagli stessi sentimenti del cuore di Dio, nell’accogliere gli altri assumendo sempre la logica del perdono e della misericordia. Ma per essere misericordiosi come il Padre è misericordioso, occorre avere il suo cuore, conformarci a lui, al suo pensiero e alla sua volontà. Il cammino della santità deve rigenerare anche i rapporti sociali nel segno della promozione della pace, operando la riconciliazione e costruendo condizioni di pienezza di vita per tutti. Infine Gesù ci avverte che questa figura di santità si realizza nel contesto di un mondo in cui il Vangelo trova la medesima ostilità che ha condotto il Signore Gesù alla croce; la persecuzione per la giustizia equivale alla persecuzione per il Signore; ostilità e persecuzioni non devono abbattere i credenti ma al contrario devono essere motivo di gioia, perché sono segno della loro fedeltà a Cristo.

A questa fedeltà al cammino della santità siamo oggi richiamati. I santi che ci hanno preceduti su questo cammino ci incoraggiano con la loro testimonianza e intercedono per noi di fronte al trono di Dio.

Giuseppe card. Betori