Cultura & Società
L’«ombelico» del mondo e la sua perdita
di Carlo Lapucci
Guardando un’antica piazza italiana, San Pietro a Roma, Piazza del Campo a Siena, Piazza della Signoria a Firenze immediatamente se ne individua il centro, anche se geometricamente non è determinabile, se ne indica la presenza in un punto ideale, come nella piazza fiorentina una lapide rotonda segna il luogo del rogo del Savonarola. Così la casa aveva il focolare, il cortile il pozzo, la parrocchia il campanile: tutte cose che non è più possibile o quasi identificare, oppure nessuno fa caso.
H. Sedlmayr ha scritto non molto tempo fa un saggio dal titolo La perdita del centro, in cui prende in considerazione questo fenomeno della scomparsa nel mondo moderno e nel pensiero dell’idea del centro che per millenni ha governato la mente e lo spazio. Collegata all’idea del centro è quella del confine, in quanto il centro è tale rispetto a un’entità definita. E infatti stanno scomparendo anche i confini: la città una volta chiusa e cinta da mura ora si confonde con la campagna, i piccoli stati regionali sono spariti, i confini tra le grandi nazioni vengono abbattuti, le parrocchie si fondono in entità più vaste, le imprese divengono multinazionali: tutta la vita moderna, l’uomo con le strutture come le nuova architetture delle chiese, paiono tendere a una scomparsa dell’elemento centrale per articolarsi in organismi policentrici, verso forme più dispersive che concentratrici.
Nella casa è scomparso per sempre il focolare, centro d’aggregazione della famiglia e anche questa un volta rigorosamente definita dai vincoli di sangue oggi va prendendo una connotazione incerta nei suoi confini dove entrano famiglie derivate da più matrimoni, con figli non degli stessi genitori, adottati, con nonni superstiti di matrimoni sfasciati, fino ad includere unioni di persone dello stesso sesso.
L’uomo si abitua a vivere senza considerare l’esistenza di un centro in sé, nel suo mondo e nel mondo. Molti segni un tempo gli ricordavano l’esistenza e il rispetto del centro e molte cose glielo rappresentavano a cominciare dalla stella Polare intorno alla quale sembra essere ordinato il giro degli astri, al centro della terra identificato nei vari luoghi come le montagne sacre, al centro della sua realtà indicato dagli omphalos, pietre sacre, torri. A questo corrispondeva una fede in una forza vitale, universale o particolare, capace di dominare le forze cieche del caos, dare senso e ordine alla massa confusa degli avvenimenti, delle idee, delle percezioni, agire come guida e controllo di se stessi: la coscienza vigile che giudica e domina gli eventi e non si fa trascinare da questi. Tale fiducia viene demolita sistematicamente dal mondo moderno con mezzi terribili come la pubblicità, lo slogan, la moda, la disinformazione, il bombardamento mediatico e terapie, pratiche, psicologie, farmaci, droghe che invitano ad affidare ad altri le scelte invece di ricorrere al proprio centro spirituale in cui si sta davanti a Dio. Il kybernètes, timoniere, guida, pilota, cede sempre più spazio alla cibernetica e l’uomo si trasforma in automa.
Scrive, a proposito dello spazio sacro Mircea Eliade: «Come la città è sempre un’imago mundi, così la casa è un microcosmo. La soglia separa i due spazi, il focolare è assimilato al centro del mondo. Il palo centrale dell’abitazione dei popoli primitivi, artici e nordamericani samoiedi, ainu, californiani del nord e del centro, algonchini, è assimilato all’asse cosmico. Quando la forma dell’abitazione varia (ad esempio presso i pastori-allevatori dell’Asia centrale) e la casa è sostituita dalla yurta, la finzione mitico-religiosa del palo centrale è svolta dall’apertura superiore da cui esce il fumo. In occasione di sacrifici si introduce nella yurta un albero, facendo uscire la cima da quel buco. L’albero sacrificale, con i suoi sette rami, simboleggia le sette sfere celesti. Sicché da una parte la casa è omologa all’universo e, d’altra parte, è considerata come stante al centro del mondo: l’apertura praticata per il fumo è di fronte alla Stella Polare.
Ogni abitazione, mediante il paradosso della consacrazione dello spazio e mediante il rito della costruzione, è trasformata in un centro», e quindi tutte le case come tutti i templi, i palazzi, le città sono situati in un solo e medesimo punto comune, il centro dell’universo. Si tratta, è chiaro, d’uno spazio trascendente, con struttura completamente diversa da quella dello spazio profano, compatibile con la molteplicità perfino con l’infinito dei centri».
Orientare in un certo modo il focolare, situare la casa in un preciso rapporto con il polo celeste corrispondeva a un determinato collocarsi dell’uomo nell’universo, sentirsi in una solidarietà cosmica, in comunicazione diretta colla pietra e con la stella: sapere dunque di sé tanto da fugare dall’individuo e dalla comunità l’angoscia della casualità dell’esistenza, della sua indifferenza nell’universo, della sua sostanziale inutilità e relatività. In questo senso il focolare, comune o familiare, è un punto fondamentale di forza delle società primitive irrecuperabile per la civiltà contemporanea dopo la rivoluzione scientifica di Galileo e Cartesio.
Già con l’inurbamento e la costituzione di centri abitati complessi questa sintonia cosmica della casa può considerarsi abbandonata e la sacralità del suo spazio o è rimandata al tempio, ovvero ad altri edifici comuni, o si articola su altre forme e significati.
Ogni omphalos era il centro del mondo in quanto da lì era possibile comunicare con tutta la realtà circostante arrivando fino ai limiti della realtà materiale e sconfinare nella dimensione sacra. Questo rimane vero inconsciamente anche nel cristianesimo. La terra dove uno viveva aveva l’ombelico costituito dal campanile della chiesa o da un punto interno della chiesa stessa. Questo sistema complesso aveva come sottinteso che si trattasse sempre di un ombelico come centro della terra, senza che ci fosse contraddizione: non si tratta infatti di un centro puramente geometrico, ma di forze, di concentrazione o irradiazione di energie cosmiche, idea che dal paganesimo ha attraversato tacitamente il cristianesimo.
Tutto ha un centro: il labirinto, il campo di calcio, il biliardo, la città, la bilancia, il ciclone, il bersaglio e di una persona contenta, in pace con se stessa, appagata si dice che è tutta nel suo centro. La ricerca del punto centrale corrisponde al desiderio di trovare equilibrio, giustizia, stabilità, equidistanza, termine di riferimento, struttura profonda di una realtà.
Pare che l’uomo dei primordi sia stato colpito dal centro del corpo umano, l’ombelico, e nella sua visione antropomorfica abbia attribuito a tutte le realtà un umbilicus, come punto determinate, baricentro, nodo unificatore di tutte le parti, di tutte le tensioni. Uno dei resti arcaici più antichi è appunto l’omphalos, termine greco che indica l’ombelico ed è il punto centrale d’un luogo: isola, terra, città e si segnava ponendo una connotazione che lo indicasse stabilmente, per lo più una pietra, rozza se si trattava d’una realtà modesta, elaborata e preziosa quando si trattava di un luogo sacro, d’uno spazio civile o politico. La pietra omphalos di solito è costituita da un blocco sagomata a rocchio di colonna, eretta e rifinita in alto a forma ogivale con qualche ornamento, di altezza tale da arrivare al petto d’una persona. Era oggetto di culto e vi si versavano sopra latte, unguenti, miele spesso, nel caso di una collocazione il luogo campestre, al fine di propiziare la fecondità e per questo la colonna poteva assumere anche forma fallica.
Esistevano, ed esistono tuttora, i grandi centri del mondo: Roma, La Mecca, Gerusalemme e i santuari dove si dirigevano i pellegrini per investirsi della forza cosmica che maggiormente da quei luoghi emana.
Nel grande centro principale l’omphalos era posto come segno del centro del mondo, del luogo da cui aveva preso l’inizio la creazione. Al vertice di questa credenza sta l’ombelico celeste, o del cielo, vale a dire la Stella Polare, posta al vertice del cosmo che costituisce il riferimento di tutti i punti, segnando l’asse del mondo. Intorno a questa gli antichi pensavano ruotasse tutta la volta celeste con le stelle.
Al di sotto di questo grande sistema viene la Montagna Sacra, diversa nelle varie tradizioni. Di solito è la più alta, nella convinzione che sia più vicina al cielo, spesso inaccessibile, o dichiarata tale come l’Olimpo. Ogni religione ha la sua montagna sacra che lega il cielo alla terra ricongiungendosi anche al mondo infero, come il Santo Sepolcro di Cristo, dove c’è un omphalos. Così Gerusalemme secondo Dante è il luogo dove, precipitando Lucifero dal cielo, si aprì la terra e agli antipodi sorse la Montagna del Purgatorio. I Greci avevano l’Olimpo, in India la montagna sacra è il monte Meru.
In Egitto esisteva un’oasi consacrata ad Ammone, dio supremo, e presso la fontana c’era un omphalos coperto di smeraldi e altre pietre preziose, considerato il centro del mondo, ombelico del deserto. Babilonia aveva la sua montagna, un edificio detto la Porta degli Dei, perché di là le divinità scendevano e salivano sulla terra.
La conseguenza della scomparsa del centro è sotto i nostri occhi: scomparso questo collegamento universale, questo schema cosmico che collega la mente, il tempo, lo spazio, il mondo materiale al trascendente, aumenta lo smarrimento dell’uomo sulla terra dove una volta bastava al viandante una croce campestre, un tabernacolo, un cimitero per fermare il suo cammino e raccogliere i pensieri confusi, per avere vicino a se, in una nicchia del mondo quotidiano, la propria vita, i propri cari, le pene proprie e altrui per cui chiedere forza e speranza, col suo passato per cui implorare perdono, il futuro per cui invocare aiuto a Dio, e con Dio la schiera dei santi, degli scomparsi divisi dalla vita solo dal velo leggero del tempo.
Se quando casca, si secca, l’ombelico di un bambino, si pone dentro un libro di devozioni con facilità questo si farà prete o monaca.
Adamo ed Eva, in quanto non nati attraverso un parto, non avevano ombelico. Questo compare spesso anche nell’iconografia antica.
Di Roma si dice popolarmente che sia il centro del mondo perché Dio vi pose il pollice e fece girare la mano per fare la terra rotonda.
Al centro di Voghera, davanti alla chiesa di S. Giuseppe ormai demolita, c’era una pietra con un foro nel mezzo. Il buco, vuole la leggenda, che sia stato praticato dalla punta del compasso che Dio ha usato per tracciare la forma rotonda del mondo. Si dice appunto ancora a Voghera: Vughera l’è in mês dar mond: Voghera è il centro del mondo.