Cultura & Società
L’olivo e le sue infinite risorse
di Francesco Giannoni
«Questa pubblicazione è dedicata a tutti coloro che amano la campagna toscana; quella campagna che ha dato i natali ed è stata culla privilegiata dei Georgofili. È dedicata in particolare all’olivo, pianta generosa e longeva, capace di sopportare dure avversità e sopravvivere rigenerandosi, dall’aspetto tormentato e affascinante, ispiratrice d’ogni espressione artistica, assunta a universale simbolo religioso, di pace e di buoni intenti, scolpendo indelebili e profonde tracce nella nostra cultura». Così Francesco Scaramuzzi, presidente dei Georgofili, scrive nella prefazione al bel volume Olivi di Toscana, presentato mercoledì 19 settembre all’Accademia dei Georgofili di Firenze da Giampiero Maracchi (climatologo e vicepresidente dei Georgofili) e Gianni Salvadori (assessore regionale all’agricoltura). Il libro, pubblicato per iniziativa dei Georgofili ed edito da Polistampa, è curato da Paolo Nanni, con testi di numerosi autori, fra cui Cristina Acidini, Giovanni Cherubini, Maria Grazia Mammuccini, Elettra Marone e Luciano Santini. L’apparato iconografico è stato curato da Paolo Nanni. La realizzazione è stata finanziata dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, dalla Regione Toscana e dalla Fondazione Carlo e Giulio Marchi.
Il presidente dell’Accademia Franco Scaramuzzi ha aperto i lavori evidenziando i valori economici, artistici e paesaggistici acquisiti dall’olivo in Toscana nei secoli, e la necessità di diffonderne la conoscenza al di là dell’Italia (per questo il libro è bilingue, in italiano e in inglese).
Maracchi ha sottolineato la valenza economica dell’agricoltura che, pur negletta, negli ultimi anni è andata meglio di altri settori, anche dal punto di vista occupazionale: 6000 lavoratori agricoli in Chianti e 1600 operai alla Piaggio di Pontedera.
Ha in seguito posto l’accento sull’olio come simbolo di una civiltà fatta di capacità, artigianato, arte; come simbolo di una tradizione alimentare in Italia quanto mai varia; come simbolo di un’agricoltura polifunzionale: è usato non solo per cucinare, ma anche per illuminare, conservare alimenti, fare saponi e cosmetici.
Bisogna tornare a prodotti che abbiano un intrinseco valore nutritivo, per dare nuova qualità alla vita, in un mondo che si basa su consumi spesso artificiali. Uno di questi prodotti è l’olio, con i suoi salubri effetti.
Un’ultima considerazione: pensiamo a quanto gusto guadagneremmo e a quanta energia risparmierem-mo, se conservassimo gli alimenti più sott’olio che in frigo.
Un altro problema è l’età media dell’agricoltore toscano: 63 anni. Bisogna incoraggiare i giovani a tornare all’agricoltura, contando su un reddito, senza assistenzialismi. C’è un progetto per costruire una Banca della Terra da parte della Regione che mette a disposizione dei giovani parte del suo patrimonio fondiario; e si rende disponibile, dando certezze e garanzie, a essere punto di riferimento per quei soggetti, istituzionali e privati, che vogliono fare lo stesso.
Per l’olio, è quasi pronto uno strumento di indirizzo per settori che tenti di sostenere i vari aspetti e attori della filiera olivicola toscana.
Infine, come sono necessari gli oliveti intensivi e le tecnologie per la raccolta delle olive, riducendo i costi, dobbiamo anche documentare scientificamente la qualità dell’olio toscano. Per questo basterebbe inserire in etichetta, oltre alle caratteristiche organolettiche, il valore di polifenoli presenti in quell’olio. Taglieremmo la testa al toro alle discussioni, e valorizzeremmo le esportazioni di olio che ammontano a più di 400 milioni di euro.
Dalla pianta alla bottiglia, i segreti di una produzione
Le colline toscane sono impensabili senza olivi. A novembre, capita di vedere persone intente a raccogliere le olive. È un lavoro eseguito prevalentemente a mano. Bucolico, socializzante e «naturale» ma, contrariamente a quello che si può pensare, è meglio la scuotitura meccanizzata. L’effetto immediato è l’abbattimento dei costi della brucatura: una macchina raccoglie 30-50 quintali di olive al giorno, mentre una squadra di raccoglitori arriva a 200-300 chili.
Inoltre, la raccolta manuale provoca alla pianta microlesioni attraverso cui entrano muffe e batteri. Lo scuotitore meccanico abbraccia il pedone (il tronco dell’albero), scrolla la chioma con forza provocando la caduta delle olive, senza alcun danno, neanche per le radici che subiscono il movimento in modo minimo. La raccolta meccanizzata è frequente nei nuovi oliveti, progettati per consentirla.
La quantità di olive raccolte varia da zona a zona, da produttore a produttore: dai 25-50 quintali di olive per produttori medio-piccoli, ai 300-400 quintali delle grandi aziende. Ma c’è anche chi ha in giardino qualche pianta, ne raccoglie i frutti per non buttarli via, porta al frantoio 10-15 chili per molirli (insieme a quelli degli altri) e torna a casa con 1-2 litri di olio, soddisfatto perché lì c’è anche il «suo».
La resa è di 14-16 chili di olio per quintale di olive: può sembrare scarsa, ma all’interno di un’oliva l’olio è una percentuale minima, anche se in tutte le parti del frutto, compresa la mandorla del nocciolo, ce n’è un po’.
Le caratteristiche di ogni olio dipendono dalle varietà delle olive: per esempio, nel 100% italiano sono molteplici, mentre nell’Igp Toscano o nel Dop Terre di Siena l’80% deve essere composto da Leccino, Correggiolo e Moraiolo (o Oriolo), i tre tipi prevalenti. La restante percentuale può essere di altre varietà (in Toscana, circa 80). Il biologico e il 100% italiano non hanno limitazioni: possono contenerle tutte (e sono più dolci e delicati).
Comincia il loro viaggio, rapido (un’ora circa) e allo stesso tempo complesso, per diventare olio.
Compiendo la raccolta meccanizzata, insieme ai frutti ci sono foglie e rami; un deramificatore li toglie per non rovinare le macchine ed evitare all’olio sapori lignei; dei ventilatori portano via altre foglie.
Trasportate da nastri, le olive arrivano a «lavatrici» dove l’acqua monda le olive e porta via le ultime foglie (più leggere dei frutti). Dopo un risciacquo con acqua pulita, le olive vengono asciugate, perché l’acqua dilava i polifenoli e toglie sapore all’olio.
Segue la frangitura: il frangitore sminuzza le olive in piccoli pezzi e le riduce in pasta. Le parti lignee non vengono distrutte, ma solo spezzate. Quando viene franta, l’oliva si surriscalda, per attrito del nocciolo, fino a 24-26°C.
Poi, il frangitore, tramite monopompe, invia la pasta dentro le gramole. Al loro interno c’è una doppia parete dove scorre acqua calda a una temperatura precisa: se è troppo calda viene inserita acqua fredda, viceversa se è troppo fredda. Se al momento dell’ingresso, la pasta delle olive è a 24-26°C, deve rimanere a questa temperatura: è a tale temperatura che viene effettuata la lavorazione a freddo che preserva i profumi dell’olio. La gramola è aperta: l’ossigeno favorisce i processi enzimatici delle particelle dell’olio che si aggregano fra loro.
La gramolatura è la fase fondamentale dell’estrazione; dura circa 45 minuti. Quindi si svuotano le gramole e si invia la pasta al decanter.
Questo, per livelli e per pesi specifici, divide olio, acqua e sansa. L’olio, più leggero, è separato per primo, l’acqua per seconda e la sansa per ultima.
L’olio può essere imbottigliato grezzo o filtrato. Grezzo ha residui visibili di particelle di polpa e di buccia che gli conferiscono un aspetto torbido che ne accresce la densità; a marzo-aprile, quando aumentano le temperature, i residui si depositano sul fondo. Ma la fondata, fermentando in condizioni anaerobiche, può alterare profumo e sapore dell’olio.
Il filtraggio per caduta avviene lentamente, attraverso un filtro di cotone che elimina le particelle in sospensione, dando limpidezza, senza perdite di colore né di sapore, come avverrebbe con un filtraggio a pressione.
La differenza tra grezzo e filtrato è solo nella visibilità dei residui. Il grezzo va consumato prima. Il filtrato è più adatto per l’uso non immediato.
Nella stanza delle botti (in acciaio inox) la temperatura è costante a 18-20°C. L’olio non deve subire sbalzi di temperatura, altrimenti perde le caratteristiche organolettiche principali, profumo e sapore. Se le botti non sono piene, si colmano di azoto (antisettico) che preserva l’olio dall’ossidazione per contatto con l’aria.
L’imbottigliamento avviene in bottiglia o in lattina, senza differenza nella conservazione dell’olio. È solo una sicurezza nel trasporto: le bottiglie si rompono, le lattine si ammaccano.
Con dei sorsetti, lo si aspira con forza insieme all’aria: così l’olio si mescola alla saliva e aderisce sul palato. Non si ingoia, altrimenti è la gola a rivelare se l’olio è piccante o amaro; è compito del palato.
Per alcuni se un olio ha l’amaro o il piccante, non è buono. Invece sono elementi positivi di un olio ricco di polifenoli (antiossidanti), capace di durare.
1 litro di olio equivale a 916 grammi. Per questo galleggia sull’acqua.
Si ringrazia Manuel Mecallini, perito agrario, responsabile della produzione e della distribuzione dell’olio presso il Frantoio di Montepulciano