Opinioni & Commenti
Lo «strappo» di Gaza
Sono stati indennizzati del prezzo delle loro case, hanno usufruito di un trasporto gratuito dei loro beni, sono stati accolti in territorio israeliano. Eppure, nonostante questi ammortizzatori di un trasferimento perfettamente organizzato, un di più di pathos c’è stato: questo è accaduto per una sorta di autoinganno di cui i coloni sono stati al contempo protagonisti e vittime.
Da sempre essi hanno creduto o si è fatto loro credere di essere non cittadini di quel triangolo di terra riconosciuto dall’Onu 60 anni fa, ma del grande Israele dei tempi biblici per il quale essi pensavano di camminare sulle orme di Giosuè e di Davide e davano alla loro usurpazione il significato religioso della continuazione di quella prima colonizzazione. Nell’esasperazione dell’abbandono è stato, inoltre, usato quel termine, esodo, che tanti significati fondanti e drammatici ha nella storia antica e recente di Israele.
E, tuttavia, governo, esercito, società civile hanno retto alla prima prova di un conflitto fra ebrei solo per un soffio. Già, del resto, Israele aveva sgomberato le colonie nel Sinai 20 anni fa. Ma si trattava di ben poca cosa, come ben poca cosa, sono le colonie di Gaza nei confronti delle molto più numerose colonie della Cisgiordania.
Ed il problema si riproporrà in modo ancora più drammatico quando si dovrà affrontare questa nuova fase di smobilitazione a meno che il governo Sharon non abbia voluto rinunciare a Gaza per mantenere più saldamente la Cisgiordania. In questo caso darebbe ragione agli estremisti palestinesi di Hamas i quali sostengono che il governo ha lasciato Gaza solo perché era indifendibile dopo i loro attacchi e che quindi non le concessioni doverose, ma una lotta ad oltranza è la strategia anche per il domani.
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