Opinioni & Commenti
Lo «spread» non è un partito, ma non va sottovalutato
Spread significa differenza, divario, distanza fra due punti di misurazione. Anche fra un 25enne e un 75enne c’è uno «spread d’età» di 50 anni. Lo spread non è solo utilizzabile in finanza. Si usa però da anni prevalentemente nei mercati finanziari (le Borse) dove ogni differenza di prezzo fra due valori omogenei viene monitorata in continuazione.
Il vocabolo inglese è già entrato prepotentemente nella vita pubblica degli italiani nel novembre del 2011 quando uno spread molto vistoso (574 punti) contribuì alle dimissioni del Governo Berlusconi. Lo spread non è un partito, non è una bandiera, non è una manovra oscura di soggetti stranieri, da solo non fa cadere i governi: è uno dei tanti segnali di forza o debolezza economico-finanziaria di un Paese.
Bisogna conoscerlo e tenerne conto senza caricarlo di compiti impropri. È manovrabile? Non più di tanto, certo è influenzabile da dichiarazioni e previsioni economiche. Lo spread di cui sentiamo parlare è la differenza di rendimento fra due titoli obbligazionari di Stato omogenei (cioè della stessa durata, solitamente decennale) posti a confronto nello stesso istante. Come base di riferimento, gli altri Paesi europei si confrontano con il titolo di Stato decennale tedesco (il Bund), perché è di un Paese ritenuto virtuoso nei conti pubblici.
Nulla impedisce di misurarsi in altri spread, cioè la distanza del titolo di Stato Italiano (il Btp, Buono del Tesoro Poliennale) con il titolo di dieci anni della Spagna, della Francia e della Grecia e così via. Perché il confronto sia omogeneo i titoli devono essere stati emessi in Euro, così si evita una distorsione della diversa valuta. Tenendo presente l’effetto cambio si possono confrontare titoli di Stato decennali anche statunitensi o di altre aree.
Il confronto per verificare la differenza (appunto lo spread) di rendimento può essere fatto anche con titoli omogenei ma di durata inferiore (quindi 2 o 5 anni, ad esempio). Comunemente si usano i 10 anni come una durata di riferimento per evitare che titoli troppo «corti» possano subire sbalzi di prezzo eccessivi perché più vicini alla scadenza. Generalmente le emissioni (cioè la vendita) di obbligazioni di durata 10 anni sono molto consistenti e anche questo è importante: quando uno Stato emette obbligazioni (quindi si obbliga a restituire il capitale prestato e pagare nelle scadenze previste gli interessi promessi) offre grandi quantitativi che possono essere poi scambiati in Borsa.
Quindi in ogni momento di Borsa aperta (in Italia funzionano bene Mot-Mts, Mercati telematici dei Titoli di Stato) chiunque può vedere quanto vale un titolo Btp che viene scambiato fra venditori e compratori. Più l’offerta di obbligazioni è grande (almeno alcuni miliardi), più scambi vengono effettuati e più il prezzo fissato nella compravendita diventa credibile. Quindi contiene delle informazioni (ottimismo-pessimismo) sulle tendenze in atto. Se l’emissione fosse di importo limitato potrebbe accadere che molti debbano contendersi una «merce» rara, quindi il prezzo salirebbe per l’effetto scarsità. Sarebbe meno credibile, non sarebbe un segnale corretto per chi compra e vende e neppure per quel messaggio di credibilità del Paese che deve restituire il prestito.
Infatti, anche se molti lo dimenticano, comprare un titolo di Stato è fare un prestito al proprio Paese o ad altri Paesi. Le famiglie (che detengono circa un 5% di tutti i titoli di Stato domestici), le banche e le assicurazioni italiane (che ne detengono un altro 60% abbondante) hanno prestato soldi al Governo italiano e chiedono giustamente che capitale e interesse vengano pagati. Figuriamoci il rimanente 30% circa che è in mano a cittadini e investitori stranieri quanto siano attenti alla puntualità del rimborso. Se uno Stato non paga è default (insolvenza), un fallimento. Accadde in Argentina all’inizio degli anni Duemila quando molti risparmiatori e investitori italiani restarono con i soldi bloccati.
Per tornare allo spread, se un investitore ha il dubbio che il Governo non sia oculato nella gestione dei conti pubblici, nelle entrate e nelle uscite, e possa non ripagare il debito alla scadenza, preferisce vendere subito la sua obbligazione. Se i venditori prevalgono sui compratori il prezzo scende, come succede in ogni mercato di quartiere sul banco della frutta. E se il prezzo diminuisce si amplia il rendimento che è – schematicamente perché ci sono formule più complesse – l’interesse dovuto cui si aggiunge la differenza fra il valore pagato sul mercato Mts e quello del futuro rimborso.
Quindi se il prezzo di acquisto è 90 e il rimborso avverrà a 100, oltre agli interessi il possessore incasserà quella differenza. Perché un investitore, piccolo o grande che sia, dovrebbe vendere a 90 quello che varrà 100 fra pochi anni? Evidentemente perché non è sicuro del rimborso, teme che lo Stato blocchi tutto. Ecco perché lo spread (la differenza dei rendimenti di due Paesi) diventa un buon indicatore, politicamente rilevante. È la fiducia o sfiducia nella capacità di uno Stato di ripagare i suoi debiti.
L’Italia è già molto indebitata e quindi per comprare e detenere titoli di Stato chi compra, italiano o estero, vuole avere un premio per il rischio che assume. I circa 300 punti attuali di spread sono un 3% aggiuntivo che il compratore pretende per avere in mano obbligazioni dello Stato italiano. Che per ora sono calde e potrebbero scottare o bruciare in caso di peggioramento grave dei conti pubblici.
Allo spread, senza che diventi un’ossessione, va data un’occhiata. Andrebbe letto in abbinata al rendimento: anche il rendimento del Bund non è fisso, quindi se il titolo tedesco dovesse scendere più di quanto scendesse il rendimento italiano lo spread si amplierebbe senza demerito di sfiducia per i nostri Btp. Va anche ricordato che con ottobre si è dimezzata la rete di sicurezza della Banca centrale europea (Bce) che poteva acquistare titoli di Stato europei a determinate condizioni. Quella rete ha protetto lo spread da balzi eccessivi. Fino a tutto dicembre una mezza-rete ci sarà ancora, dal 2019 le fluttuazioni potrebbero diventare più vistose. Nel bene e nel male il termometro-spread mostrerà la vera temperatura della credibilità italiana agli occhi di chi ha prestato denaro.