Lettere in redazione
Lo scandalo del calcio milionario
E’ possibile che nessuno alzi un grido per dire «basta» alle spese folli delle società calcistiche che investono ingenti «capitali» per acquistare giocatori che, in fondo, altro non fanno che tirare dei calci a un pallone per metterlo in una rete avversaria.
Né i politici, né la Chiesa sentono la responsabilità di indicare un limite «morale» di spesa, considerando che, migliaia di pensionati non arrivano alla fine del mese e le parrocchie intervengono sempre più a dare un sostegno efficace, salvaguardando la dignità di questi «nuovi poveri».
Io le scrivo caro Direttore, perché «Toscanaoggi» si faccia interprete di un diffuso disagio fra i cattolici impegnati nei sindacati e nelle associazione, per questa sperequazione tra chi «ha troppo» e lo sperpera e chi «ha poco», e non trova sostegno legislativo per le loro necessità fondamentali della vita.
Caro signor Elio, lei ha ragione da vendere. Va a finire che ci abituiamo a certe cose, solo per il fatto che non abbiamo la possibilità di cambiarle. Eppure con la «Gaudium et spes» dovremmo ripetere che «le troppe disuguaglianze economiche e sociali, tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale ed internazionale»(§29). E ovunque predomina la logica del denaro, del business, assistiamo a questo tipo di ingiustizie. Prendiamo un mondo simile, quello dei divi di Hollywood. Nel corso del solo 2007 l’attore Will Smith ha intascato 80 milioni di dollari, seguito da Johnny Deep (72) e Eddie Murphy (55 milioni). La più pagata tra le donne è Cameron Diaz con 50 milioni. Come vede, cifre da capogiro, ma che poi hanno un ritorno al botteghino. Un attore come Matt Damon, protagonista della trilogia «The Bourne», per ogni dollaro ricevuto è riuscito, ad esempio, a farne incassare 29 al produttore. Ed è certo che il prossimo anno potrà pretendere cachet ben più sostanziosi. Nel calcio il discorso è simile, anche se spesso le società a differenza delle case di produzione cinematografiche vengono gestite spesso senza criteri economici. Ma anche qui è vero che più il giocatore è famoso e più attira abbonamenti e soprattutto diritti televisivi. E più la società ha entrate, più si può permettere di sottrarre alle altre i migliori giocatori, offrendo loro stipendi da capogiro (che poi sono la cosa più clamorosa, perché i soldi dei «cartellini» spesso sono più fittizi che reali). Il sistema è quindi ingiusto non solo perché garantisce ad un giocatore stipendi spropositatamente superiori a quelli della stragrande maggioranza delle persone. Ma anche perché altera il principio della uguaglianza che è alla base della competizione sportiva: solo le società più ricche possono sperare di vincere, alle altre non rimane che il ruolo di comprimarie.
Claudio Turrini