E’ morto alle 11 di stamani all’ospedale di Livorno il vescovo emerito Alberto Ablondi. Si trovava ricoverato nel reparto di rianimazione da lunedì quando era stato colpito da un malore di natura cardiorespiratoria. L’anziano presule (avrebbe compiuto 86 anni a dicembre) ha guidato la Diocesi livornese dal 1970 al 2000. Tra i numerosi incarichi di rilievo, è stato vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e membro del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Monsignor Ablondi è stato l’uomo del dialogo, a Livorno, in Italia, per tutta la Chiesa. Dialogo con le altre religioni, prima di tutto, ma anche con una città con il cuore sempre a sinistra. Simbolica, peraltro, la lotta a fianco con il capo dei portuali livornesi (Italo Piccini, scomparso pochi mesi fa) nella protesta del 1989 contro i decreti Prandini. Nato nel dicembre del 1924 a Milano, ordinato sacerdote nel 1947, è stato parroco a Santa Maria degli Angeli a Sanremo dal 1952 al 1966, dove ha insegnato anche religione in un liceo locale. Fu consacrato Vescovo nell’ottobre del 1966 come ausiliare di mons. Guano a Livorno e amministratore apostolico di Massa Marittima. Nel 1970, con l’aggravarsi della malattia di mons. Guano divenne vescovo caodiutore di Livrono e dal settembre dello stesso anno, vescovo titolare. Per trent’anni (fino al 2000 quando si dimise per raggiunti limiti di età) ha accompagnato la diocesi nel solco del messaggio del Concilio Vaticano II.Precursore del dialogo con le altre religioni, ha manifestato (fin dai primi anni di magistero episcopale) la sua vocazione ecumenica con uno speciale rapporto con la comunità ebraica per rimuovere diffidenze e silenzi. Simbolo di questo riavvicinamento l’amicizia con Elio Toaff con il quale era unito, tra l’altro, da una città in cui hanno convissuto per secoli confessioni cristiane diverse, una numerosa comunità ebraica e presenze dell’universo musulmano. Nel corso della sua lunga attività pastorale, gli è stato riconosciuto spessore morale e un’intelligenza che andava oltre lo studio e la teologia. Laureato in lettere, con specializzazioni in giurisprudenza, archeologia e filosofia, autore di numerosi libri, è stato vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana, membro del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, presidente mondiale della Federazione Universale Cattolica per l’Apostolato Biblico, vicepresidente mondiale per l’Europa delle Società Bibliche. Fu insignito del titolo di Grande Ufficiale al merito della Repubblica e di quello della “Livornina”, (la più alta onorificenza del Comune di Livorno). A Livorno ha fondato nel 2000 il Cedomai, il Centro di documentazione del movimento ecumenico italiano che è intitolato allo stesso Ablondi. Durante il rapimento Moro, nel 1978, assieme ad altri due vescovi, Luigi Bettazzi e Clemente Riva, si offrì – senza successo – alle Br per essere preso in ostaggio al posto dello statista. La camera ardente sarà allestita dalle 16.00 di oggi in Cattedrale; alle 21.30 il Vescovo mons. Simone Giusti presiederà una Veglia di preghiera. Nella giornata di domenica 22 agosto la camera ardente sarà riaperta dalle 8.00; alle 18.00 recita dei Vespri e a seguire Messa in suffragio. Le solenni esequie lunedì 23 agosto, alle 16,30, nella cattedrale di Livorno. La giunta del Comune di Livorno ha proclamato il lutto cittadino in concomitanza con i funerali e ha invitato la cittadinanza a partecipare al lutto con un minuto di silenzio.Questa mattina circa 200 persone hanno partecipato a un pellegrinaggio al santuario di Montenero guidato dal vescovo di Livorno Simone Giusti proprio per pregare per lui. «Un’icona del dialogo, così definirei monsignor Ablondi. afferma l’attuale vescovo di Livorno – Chi come me l’ha conosciuto da seminarista e poi da giovane prete non può che ricordare così questo Vescovo. Una personalità forte: ironico, paterno, e allo stesso tempo lungimirante, di un’intelligenza acuta, aperto all’incontro e al confronto. Un uomo che si è fatto interprete dei tempi e pioniere del dialogo, laico e religioso. Una figura carismatica che mancherà alla città, alla Chiesa e a tutti coloro a cui ha saputo dare tanto».“Non solo è stato vice presidente della Conferenza episcopale italiana, ma si è distinto per la straordinaria passione ecumenica, che lo ha reso protagonista, in Italia e nel mondo, del cammino verso l’unità di tutti i credenti in Cristo”. Con queste parole il cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco e il segretario generale mons. Mariano Crociata, in un messaggio al vescovo di Livorno, Simone Giusti, esprimono il cordoglio dell’episcopato italiano per la morte del vescovo Alberto Ablondi. “Unendoci al dolore dei sacerdoti e dei fedeli che lo ebbero come padre nella fede – scrivono Bagnasco e Crociata nel messaggio, pubblicato dall’Osservatore Romano -, desideriamo ricordarne la generosa figura di pastore, che ha donato la propria esistenza alla Chiesa, esercitando per lunghi anni con amorevole cura e costante dedizione il ministero episcopale in codesta diocesi livornese”. «Una lezione di rigore e coraggio, tolleranza e apertura che è patrimonio di tutti, credenti e non credenti. Una lezione che bisogna tenere viva, per fare in modo che il nostro paese sia più accogliente e tollerante». È con queste parole che il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ricorda il vescovo di Livorno, Alberto Ablondi. «Non solo con il cordoglio, ma con un impegno a trasmettere i valori che questo religioso ha incarnato nella sua vita, come testimone di pace, uomo disposto al dialogo e attento alle differenze, religioso in prima linea nelle battaglie per la dignità dell’uomo. Con lui prosegue Rossi – perdiamo un punto di riferimento e un interlocutore attento della Regione, assieme al quale abbiamo lavorato per dare concretezza a un’idea di Toscana come terra capace di alimentare forti valori e costruire ponti tra culture. Come lui stesso ha fatt o per tanti anni anche a Livorno, in un dialogo costante sia con il mondo ebraico che con quello islamico. Una capacità di confrontarsi e di riconoscere l’altro che temo questo paese abbia in parte perso. Per questo avvertiremo ancora di più la sua mancanza»