Toscana
Livorno, a rischio settemila posti di lavoro
di Simone Pitossi
Delphi, Giolfo e Calcagno, Eni, Tenaris Dalmine. Quattro casi di aziende in crisi o chiuse. Vicende diverse l’una dell’altra. Ma tutte storie che finiscono o rischiano di finire allo stesso modo: con i lavoratori che pagano. Pagano per la delocalizzazione, pagano per la crisi, pagano per le speculazioni. Sono solo quattro casi. Ma in provincia di Livorno ce ne sono, purtroppo, molti altri.
Oltre settemila posti di lavoro a rischio, 587 i licenziamenti collettivi, 2200 i disoccupati degli ultimi mesi. Oltre 100 le aziende che hanno dichiarato lo stato di crisi a Livorno e provincia, con oltre 4170 lavoratori in cassa integrazione ordinaria e altri 3000 interessati da altri ammortizzatori sociali.
Maurizio Strazzullo, segretario provinciale della Cgil, snocciola numeri che disegnano un quadro della situazione preoccupante. «Battiamo un record in Toscana: spiega più di 4 milioni di ore di cassa integrazione su circa 18 milioni complessivi. Il guaio ulteriore è che la stragrande maggioranza delle imprese provinciali finirà le 52 settimane di cassa integrazione ordinaria entro il mese di dicembre». E purtroppo è una situazione che riguarda trasversalmente i settori. «Tutti i comparti continua sono in grave crisi: dal siderurgico di Piombino alla componenstica, passando dal settore chimico (Eni e Solvay) per arrivare alla portualità e ai trasporti. Per tutti si tratta di una perdita di fatturato che va dal 20 al 30%». Spesso si tratta di situazioni di partenza diverse. Ma la fine, come dicevamo, rischia di essere uguale per tutti.
«Il territorio livornese sottolinea Strazzullo soffriva già prima della crisi. Delphi, Brovedani, Cst di Venturina e Giolfo e Calcagno rientrano in questo caso. Le prime due a causa della delocalizzazione, le altre per scelte imprenditoriali sbagliate». Poi si sono aggiunte le altre.
Per quanto riguarda meccanica e componenstica auto: tra Trw, Magna e Pierburg gli operai in cassa integrazione ordinaria sono 520, senza considerare l’indotto (alla Panini, ad esempio, tremano in 25). Poi ci sono i 173 operai ex Delphi che da tre anni aspettano una risposta. A questi si aggiunge la «Brovedani», azienda di componentisca auto e moto, con 30 operai in cassa integrazione. E questi numeri non comprendono gli operai non riconfermati. Infatti, sempre guardando ai tre giganti gli interinali persi tra il 2008 e il 2009 sono circa 400.
Poi c’è la siderurgia di Piombino, dove le aziende in crisi sono più di venti. Solo alla Lucchini i posti in bilico sono quasi 2 mila (1500 cassaintegrati, 70 in mobilità e altri 70 già a casa). E, in questi giorni, si è aggiunta anche la Dalmine di proprietà della multinazionale Tenaris che ha annunciato il taglio di 1024 posti di lavoro sul totale di 2814 attualmente in forza nei siti produttivi nazionali e la chiusura dello stabilimento piombinese.
Altri casi gravi, in settori diversi, sono la «Cst-Net» di Venturina con 97 persone in mobilità per la crisi dell’azienda che si occupava di circuiti stampati e componenti elettronici, e la «Giolfo e Calcagno», azienda livornese del settore alimentare (lavorazione e surgelazione del pesce), che ha lasciato a casa altri 100 operai.
C’è poi il settore trasporti, soprattutto in ambito portuale, dove i piccoli sono senza ossigeno. E dove i grandi gruppi stanno in piedi con molta fatica. Alla Compagnia Portuale per una contrazione dei traffici, si è fatto ricorso a 473 contratti di solidarietà. «Sono elementi di forte preoccupazione conclude Strazzullo ma che non devono farci perdere di vista che il territorio livornese ha tutte le potenzialità per riprendersi. Tra sindacati e istituzioni si tratta di trovare idee condivise di sviluppo e concordia sulle priorità».
L’incertezza sconvolge la vita di centinaia di famiglie sul territorio. Ogni giorno si alternano «buone notizie» di colloqui e di incontri a «cattive notizie» di mancati accordi e ulteriori difficoltà. La sola politica sembra non bastare a far fronte a questa crisi.
Gli imprenditori locali e non latitano e ogni possibilità di investimento sul territorio appare come un’ipotesi remota. Le banche dovrebbero sostenere di più, soprattutto le piccole imprese. I lavoratori attendono risposte, scettici su possibilità nuove che li vedano protagonisti in produzioni alternative. Le famiglie avanzano con fatica sempre maggiore.
Cosa può fare la Chiesa in questa situazione? Innanzitutto mettersi in ascolto e farsi vicina a chi soffre, sempre!
Dare coraggio, infondendo speranza, quella speranza che deriva dalla fede, dalla fiducia nella Provvidenza.
Sostenere il nuovo ed il coraggio di chi vuole scommettere sul futuro.
Ma anche svegliare le coscienze: perché la politica sia veramente al servizio del bene comune; perché chi ha la possibilità di agire, agisca e lo faccia tempestivamente, prima che la situazione diventi sempre più grave.
È necessario sviluppare una forte sinergia fra tutti gli attori della vita politica ed economica del territorio evitando assenze o attendismi.
Solo lo sforzo comune e concorde potrà dare risposte certe e sicure. Ognuno deve fare la sua parte. Nessuno si tiri indietro!
Ovviamente tutto questo si accentua in momenti di difficoltà, quando si deve ridimensionare, tagliare, ottimizzare, spostare dove materie prime e personale costano meno, dove i costi di produzione sono più bassi, dove l’attenzione per la tutela ambientale è minore. Si assiste quindi a rilevanti perdite di posti di lavoro, tutte contemporaneamente, senza quindi possibilità di un’alternativa occupazionale. Questo impatta non soltanto sull’aspetto economico della nostra società, ma diventa anche e soprattutto un problema sociale, al tempo stesso, collettivo ed individuale. Una situazione difficile che si ripercuote sulle scelte personali, sugli equilibri familiari e anche sull’aspetto psicologico.
Un individuo che perde il lavoro inizialmente può provare rabbia e ribellarsi, cercare forme organizzate di protesta insieme ad altri, dopo un po’ però, se non si ottiene un risultato concreto, sopraggiunge un senso di impotenza, di depressione che si ripercuote anche all’interno dei nuclei familiari. È anche per questo che le istituzioni hanno un ruolo fondamentale, occorre far sentire a queste persone che non sono sole, che i loro problemi non riguardano soltanto loro ma appartengono a tutta la comunità ed insieme vanno affrontati.
Molti esempi di aziende alla ribalta per questo negli ultimi tempi: l’Eni, la Delphi, la Geopescal e molte altre ancora che non sto ad elencare, ma sono all’ordine del giorno e tante altre sono anche quelle chiusure «silenziose»: un negozio qua, una piccola ditta là, qualche licenziamento in un’altra, un «non rinnovo» di contratto per alcuni, e così via. L’impegno della Provincia di Livorno è sempre stato all’insegna della collaborazione, perché io sono fermamente convinto che non ci siano altre strade che quelle di lavorare insieme: la Provincia, i Comuni, i sindacati, le rsu dei lavoratori, gli esponenti di organizzazioni politiche, religiose, tutti uniti verso un unico obiettivo e sono confortato dal fatto che qualche risultato l’abbiamo ottenuto, unendo le voci siamo riusciti a farci sentire da Roma e anche in qualche sede di multinazionale lontana. Dobbiamo assolutamente continuare così.