Toscana
Liturgia, ecco il rito «straordinario»
Venerdì 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce. Ha scelto una data significativa Benedetto XVI per l’entrata in vigore del «motu proprio» che concede un uso «straordinario» del «Messale del 1962» di Giovanni XXIII. Una decisione che ha fatto molto discutere, scatenando gli entusiasmi dei «tradizionalisti» e le paure di tanti per un possibile ridimensionamento del Vaticano II. Reazioni esagerate entrambe, a ben guardare, perché la vita delle parrocchie non cambierà e solo piccoli gruppi radicati e stabili potranno chiedere di usare il rito preconciliare. L’intento del Papa, che ha proposto tre anni di sperimentazione, non è quello di dividere i fedeli, ma al contrario, di riassorbire le divisioni.
Il liturgista: Una gestualità molto rigida che il Concilio ha superato
Volendo evidenziare le maggiori differenze tra la ritualità della liturgia eucaristica «ordinaria» (la «nostra» Messa di oggi, chiamata anche «di Paolo VI») e quella che segue la forma extra-ordinaria permessa con il Motu proprio (il rito del 1962, che si rifà a quello «di san Pio V», o «tridentino») potremmo dire che cambia sostanzialmente la prospettiva di fondo! Dopo il Concilio di Trento, per evitare che ogni sacerdote decidesse per conto suo i gesti da compiere durante la Messa (non esisteva un unico Messale, ma diversi usi in base alle varie tradizioni liturgiche) ci fu la necessità di indicare con precisione tutti i movimenti che doveva compiere il ministro durante la celebrazione: come muovere le braccia, le mani, gli occhi, quali gesti assumere per incensare ecc e questa ritualità era vincolante per una corretta celebrazione. Questo garantiva l’unità per tutta la Chiesa cattolica e l’ortodossia teologica di fronte ai diversi riti delle Chiese protestanti-riformate.
Questa preoccupazione non era più così urgente dopo il Concilio Vaticano II e potremmo dire che si passò da una «celebrazione obbligatoria» dove ogni movimento era definito nei particolari all’«obbligo della celebrazione», dove si sottolineano soprattutto le indicazioni di fondo (e questo non vuol dire lasciar spazio alla creatività personale!) per favorire l’autentica partecipazione di tutti i fedeli alla realtà del mistero celebrato.
Come si vede nel messale che precede il Concilio Vaticano II vi è una ritualità molto articolata; basti pensare che durante il rito del 1962 si contano non meno di 50 segni di croce (considerando quelli che il sacerdote fa su di sé, sulle cose e sull’altare), 19 genuflessioni, 9 baci all’altare e 18 preghiere che il sacerdote recita sottovoce per la propria devozione personale; modalità che era necessaria nel XVI secolo per creare l’unità che mancava e per rispondere alle esigenze di quell’epoca. Oggi, quella stessa ritualità, rischia di scadere nel rubricismo esasperato perdendo di vista la verità della celebrazione e la centralità del mistero pasquale. Ecco perché tale forma, chiamata appunto «extra-ordinaria», viene permessa dal Papa unicamente «dove esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica».
Firenze, così celebrano i tradizionalisti
«Ite, Missa est. Benedicamus Domino». «Deo gratias!». Da più di vent’anni nella chiesa di S. Francesco Poverino in piazza SS. Annunziata, a Firenze, è così che si conclude la liturgia eucaristica domenicale. Ripresa domenica 9 settembre alle 10,30, dopo una breve pausa estiva, la celebrazione della Messa secondo il Rito Romano Antico in latino è promossa dalla Confraternita di S. Girolamo e S. Francesco Poverino in S.Filippo Benizi, grazie ai permessi concessi dall’Arcivescovo di Firenze in base all’«indulto» di Giovanni Paolo II che, anche prima del «Motu proprio» di Benedetto XVI, consentiva in casi speciali l’uso del cosiddetto «Messale di S. Pio V».
Una coppia di giovani turisti, entrati per caso, si dichiara affascinata, anche se ammette che all’inizio «si prova la sensazione di un certo distacco per il sacerdote che officia di spalle rispetto all’assemblea».
«La scelta di celebrare la Messa domenicale in rito antico ci spiega Dante Pastorelli, governatore della Confraternita è stata dettata oltre che dalla tradizione e dalla storia della Confraternita, anche dalla profondità, religiosità e sacralità del rito tridentino». «Non possiamo che accogliere positivamente aggiunge Pastorelli il Motu Proprio. Sono convinto che l’iniziativa avrà successo soprattutto in alcuni paesi stranieri come l’Austria, la Francia e gli Stati Uniti, più che in Italia. La forza, la validità e l’attualità della liturgia tradizionale stanno nel fatto che essa riesce a preservare il senso profondo del Mistero che informa il culto divino, tenendo ferme due esigenze essenziali per il fedele: l’adorazione di Dio e la disposizione di sé stesso ad accogliere la sua grazia gratuita».