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LIPPI: la morte di un santo
Lo sgomento ci pervade per un lungo attimo. Il vuoto ci mura addosso un vestito di sconfortante chiaroveggenza. Quel volto amato non si può attingere più da la fonte quotidiana dei miracoli.
Abbiamo conosciuto un Santo, Lo abbiamo amato forse troppo superficialmente, perché quella sua misura di ardore e limpida visione interiore ci era troppo familiare. La nostra abitudine a vedere un Santo in carne e ossa ci ha dato quel sopore che non ci ha permesso di gustare quanto stava succedendo nella storia e nella vita di ciascuno di noi. Ora la morte del Santo Padre ci «spalanca» quella Porta della Scala di Giacobbe sulla quale Lui si era avviato da gran tempo. Difficile è seguirlo senza inciampare sulla soglia della Speranza, perché quella Sua Fede è quella di un bambino a cui non prende la vertigine dei ragionamenti, né la smania di saper tutto in anticipo.
Abbiamo traguardato Giovanni Paolo II da una posizione prospettica facilitata, come si guarda un giocolante fare esercizi difficili nel circolo de la vita stando seduti o accoccolati per un attimo a guardare uno che giorno per giorno sale quella scala santa che dispiace al mondo. Adesso che la morte del Papa ci costringe ad aguzzare la vista, a oltrepassare quel vuoto della porta spalancata, dobbiamo con tremore addentrarci in quello spazio reciso da noi, sacro, dentro il quale si è inanellato d’invisibile fulgore. Ricorderò per sempre l’ora del tramonto di sabato 2 aprile 2005. La spera del sole lanciava, dalla sua fioca veglia una tinta così delicata e soave da rammentare al cielo e alla terra che l’universo è abitato dall’Amore.
Mai avevo visto un tale straziante addio tra il fuoco e l’incipiente tenebra, tra la vita e la morte. Quella matassa vigorosa e tenace di vita che ora si allentava in armoniose bende come un sudario del Risorto, era per me la certezza che il dolce Cristo in terra, il pescatore di uomini era pescato nella rete a trama d’oro dell’Eternità. Anche il sole, meraviglioso e vitale simbolo di Cristo Signore, si era volentieri piegato ad una santa obbedienza, quella di tracciare uno stemma sospeso nel cielo tanto da accompagnare e precedere il transito nel Dies Natalis del Servo dei Servi di Dio. Scrivo nel piangere e leggo nella gioia consolante del Risorto tutta la straordinaria avventura di questa Roccia che ha camminato sulle acque e sulla groppa della quale si sono eretti Popoli e Nazioni.
M’inginocchio davanti alla Maestà di Dio che si è compiaciuto di donarci un campo di tribolazioni con una perla preziosa, nascosta proprio in quel terreno scosceso e arido, funestato dal dolore e dalla morte, il novecento dei lutti e delle speranze, che ora risplende nel cuore di ogni uomo di buona volontà. Il Papa che ha incarnato il detto di Sant’Agostino: «se è stato possibile ai Santi perché non a me?», Sommo Pontefice o minatore o maniscalco o gabelliere o benzinaio o accademico blasonato, è la santità del vivere che cambia la vita degli uomini e trasfigura il passaggio da questa all’altro mondo.
Vorrei fare un’altra considerazione sul Santo Padre. Come definire con una parola il suo Pontificato? Giovanni Paolo II passerà alla storia come il Papa Missionario. Infatti non ha soltanto organizzato e diretto con ogni sforzo umano che ha dell’incredibile, ma è partito lui per primo incontro all’umanità del nostro tempo, così come fece Gesù camminando di villaggio in villaggio. Il Santo Padre era un Poeta, un Artista perciò si faceva intendere da tutti, immediatamente. Forse le prime e più tenaci resistenze le ha avute tra i più vicini ma la Verità che lo animava gli ha consentito di oltrepassare ogni barriera, anche questa ultima della morte. Ora dal suo novo Pontificato trasporterà il cielo in terra , così come aveva portato la terra e le sue miserie verso i pascoli del cielo. Il Poeta deve trasformare le cose di ogni giorno in piccoli assaggi d’Eternità, invogliando gli altri a pregustare il Paradiso la cui succursale è la terra Redenta dal sangue di Cristo.
Ora cominceranno i Miracoli più grandi e nessuno di noi, credenti e non credenti, potrà sviare lo sguardo da quegli occhi che ti perforano l’anima e che non ti danno tregua. Sono stato raggiunto da quello sguardo potente e liberante quel giorno benedetto che l’ho incontrato perciò, come dice San Paolo , sono inescusabile se continuo a vivere «alla Carlona» e non come ha vissuto e vive Carlo Wojtyla.