Vita Chiesa
Lionello Berti, un toscano nel lontano Oriente
di Elide Ceragioli
Monsignor Lionello Berti (nella foto) nacque a Sant’Agata di Reggello il 10 settembre del 1925 e fu ordinato sacerdote il 20 giugno 1948. Il suo motto personale era: Lui mi ha amato e si è dato a me, affinché anch’io ami e mi doni. E davvero si è donato totalmente! Entrato nella congregazione missionaria degli Oblati di Maria Immacolata, dopo un breve ma intensissimo ministero a Napoli fra gli operai delle maggiori industrie di allora, ricoprì la carica di assistente delle Acli e della Società Operaia, lasciando in tutti la traccia indelebile di una profondissima spiritualità.
Nel 1957, in obbedienza alla volontà di Dio espressa in quella dei superiori, accettò la sua designazione al Laos settentrionale.
Partirono in sei, alla fine di ottobre, per approdare in una terra dilaniata dalla guerra e dove avrebbero incontrato difficoltà immense. Il Laos – il paese del milione di elefanti- che fa parte della tormentata penisola Indocinese, ex colonia francese, indipendente dal 1955, allora contava poco più di tre milioni di abitanti, appartenenti ad un mosaico di etnie e privi di qualsiasi fattore culturale o politico di unione.
Gli Oblati di Maria Immacolata erano presenti nel nord del paese, diviso fra animasti e buddisti, dal 1935, e già i primi frutti del loro lavoro si cominciavano ad intravedere, ma l’arrivo dei giovani padri italiani dette nuovo slancio all’opera missionaria. Lo sviluppo fu così rapido nella parte nord che nel 1963 venne creato il Vicariato di Luang-Prabang, di cui monsignor Berti sarà il primo vescovo. Le condizioni di vita per la popolazione, in questo paese povero e sprovvisto di vie di comunicazione vennero complicate dalle azioni di guerriglia che le opposte fazioni, fra le quali i temibili comunisti del Pathet-Lao, ingaggiarono soprattutto nelle foreste, per ottenere l’indipendenza.
Per i missionari e la piccola minoranza cristiana, alla povertà si sommò il pericolo che l’odio dei comunisti per ogni forma di religione e soprattutto per quella cattolica considerata la religione dei colonialisti, si trasformasse in martirio.
La storia di monsignor Berti è strettamente legata alla storia della Chiesa laotiana, Chiesa nascente, germoglio che sarà nutrito dal sangue di sacerdoti (quindici!) e catechisti che generosamente, in quegli anni hanno sacrificato la loro vita. Quando la zona di Luang-Prabang gli fu affidata contava 80 cattolici, nel 1968, alla sua morte, erano un migliaio, oggi, nonostante gli anni durissimi della persecuzione, sono circa quarantamila. In un’intervista di qualche anno fa al mensile Jesus, Monsignor Khamsè Vithavong, vicario apostolico della capitale Vientiane, affermava: «Vogliamo crescere velocemente nella fede; non sogniamo grandi scuole e ospedali; vogliamo vivere semplicemente con la gente».
Eppure la Chiesa laotiana, a differenza di quelle vietnamite e tailandese stenta a radicarsi nel territorio. Il dialogo coi buddisti, iniziato e portato avanti per anni da Monsignor Marcello Zago, sia al tempo in cui era superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata, sia quando era segretario della «Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli», è stato interrotto dalla rivoluzione del 1975 e questo ha contribuito ad emarginare la religione cristiana, considerata estranea alla storia e all’etica laotiana. Del resto i primi missionari erano giunti insieme ai colonizzatori francesi che avevano intravisto nella propagazione religiosa, un veicolo per estendere la propria influenza sulla popolazione. Solo oggi le autorità locali hanno iniziato ad allentare il controllo, anche se persistono importanti limitazioni. Per esempio a Vientiane il vescovo ha bisogno di permessi speciali per poter visitare i villaggi e l’ordinazione di un sacerdote è stata più volte procrastinata ed impedita.
I tempi sono ancora difficili, ma quanto più duri allora! Monsignor Berti veniva dalla campagna toscana e si era portato negli occhi e nel cuore la nostalgia per i colori e il profumo del pane, tanto che in Laos aveva provato, per ben tre volte, a seminare il grano, ma il clima troppo caldo e umido non era proprio adatto. Scherzando con un amico aveva detto che si era visto costretto a sostituire la domanda del Padre nostro: «dacci il pane quotidiano» con «dacci il riso »
Un fallimento? In soli cinque anni di lavoro, nonostante la povertà di mezzi e di personale, la missione si estese fino ai confini della Thailandia, della Birmania e della Cina. Egli confidava più nell’azione divina che non in quella umana e non visitava nessuna casa o villaggio senza lasciare, il più delle volte di nascosto, una medaglietta della Madonna, certo che Lei avrebbe continuato il lavoro.
Nel 1962 a soli 37 anni Lionello Berti venne consacrato vescovo e nominato vicario di Luang-Prabang. Un fardello molto pesante che il giovane pastore affrontò fiducioso nell’aiuto di Maria come scriverà nel suo stemma: «Il Regno di Cristo per Maria Immacolata». Non esistevano chiese in muratura e immediatamente iniziò i lavori di costruzione della cattedrale, del seminario e delle scuole. Affidò alle suore della Carità la cura dei malati e in parte la formazione dei catechisti che coordinava e sorvegliava personalmente. Il fuoco del suo zelo lo spinse a fondare le «Ausiliarie di Maria Madre della Chiesa» per la formazione umana e cristiana della donna, ordine secolare che continua la sua opera anche ai giorni d’oggi.
Il 24 febbraio del 1968 un piccolo gruppo di famiglie Hmong del Phu Kassat si preparò a partire per Sayaboury, dove cercavano rifugio dai guerriglieri che imperversano sulle montagne. Monsignor Berti aiutò a lavare e preparare i bambini e decise, con delicatezza paterna, di accompagnarli per verificare la loro sistemazione. Inspiegabilmente, a pochi minuti dalla meta, il grosso aereo su cui viaggiano si inabissa nel Mekong. Vengono ritrovati i resti straziati dagli animali e dalla permanenza nel fiume, di appena tredici delle 35 persone. Dopo undici giorni davanti agli occhi stupefatti dei compagni di missione, dal fiume, emerse il corpo, miracolosamente intatto, del giovane vescovo.
Tutta la nascente comunità si riunì commossa a rendergli l’ultimo saluto, poi la salma fu posta nella cappella del seminario che aveva fatto costruire.
Durante la rivoluzione del 1975, i sacerdoti furono espulsi, le loro proprietà sequestrate e adibite ad uso civile, la cappella fu trasformata in magazzino e della tomba si persero le tracce per trent’anni! L’azione congiunta della delegazione di Reggello, dell’ambasciata italiana a Bankok e di Luciana Bastiani, una delle prime Ausiliarie, attraverso un lavoro di mediazione con le autorità locali laotiane e la popolazione hanno permesso di rintracciarla e di risistemarla dignitosamente.
Il comune di Reggello ha voluto, per onorare la memoria del giovane oblato, iniziare una serie di progetti umanitari a favore di quel popolo così lontano e così povero, ottenendo dal governo laotiano di poter utilizzare una parte del seminario, ora sede del ministero della cultura, per ospitare quanti vorranno visitare e onorare la sua sepoltura.