Opinioni & Commenti
L’interrogativo dei credenti sul valore della preghiera
I tre esempi poi, vicini a queste parole, del figlio che chiede un pane e non riceverà dal padre certamente una pietra, di un uomo che ottiene quanto desidera insistendo con l’amico e della vedova che da un giudice corrotto bramoso solo di non essere disturbato riceve alla fine giustizia, invitano a una fiducia senza limiti. «E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18,7). Questa insistenza sulla preghiera non è certo un invito alla sfrontatezza, a una presunzione di informare Dio sul nostro bisogno o a commuoverlo: Dio è già pronto a donare quanto richiesto nella preghiera, specialmente la pace. Il problema, complesso e non certo solubile con qualche pensiero, può ricevere luce dalla Parola di Dio contraria a ogni automatismo della preghiera. Questa infatti è colloquio, comunione di cuori, sintonia di volontà. Gesù nel Getsemani chiede al Padre di essere liberato dalla morte e contemporaneamente si abbandona alla sua volontà che include perdono e amore vicendevole.
Nell’incontro tra la libertà dell’uomo e di Dio, la preghiera esige un cuore libero da egoismo, una coscienza della insostituibile mediazione di Cristo («pregare nel suo nome») un desiderio di pace per tutti, non contro qualcuno. D’altra parte il Signore rispetta anche la volontà di chi fa la guerra, pronto tuttavia a giudicare e a volgere in bene i disastri operati dall’uomo. La situazione di Paolo è illuminante. Per tre volte l’apostolo ha pregato il Signore per essere liberato da una malattia compromettente il suo apostolato («lo stimolo nella carne»), ma non fu esaudito: ricevette una potenza, una «dynamis», tale da sostenerlo nella debolezza. La preghiera donando lo Spirito Santo aiuta a vivere meglio una situazione compromessa dal peccato, allarga i confini della pace: esige che sia continuata nella fiducia, non abbandonata.