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L’Inno di Mameli esce dal precariato mentre precario diventa il nostro calcio nazionale

E pensare che la Svezia non ha un inno migliore del nostro. Ha l’incedere di un canto quaresimale luterano mentre fuori nevica e il testo fa riflettere: «Il tuo sole, il tuo cielo, i tuoi prati verdi»… Ah, l’amore per la propria terra crea allucinazioni favalose! Almeno è un inno pacifista: «Io ti saluto, nazione più amichevole del mondo». Ma allora perché hanno rotto il naso a Bonucci, pur d’elmo di Scipio munito?

Dicono che l’inno più bello sia la Marsigliese, che Mameli e Novaro tentarono di scopiazzare. Per fortuna non l’hanno fatto. Ce li vedete i nostri virgulti cantare in coro: «Alle armi, cittadini! Formate i vostri battaglioni! Andiamo! Andiamo! Che un sangue impuro bagni i nostri campi!»?

Siamo i soliti eterni scontenti inclini all’autolesionismo. Qualcuno, alzando il nasino, a turno propone di sostituire il buon Mameli con l’eccelso Verdi. Ma «Va’ pensiero» è il canto dolente degli ebrei prigionieri in terra straniera: che cosa cavolo c’entra con il Risorgimento e la storia patria, e aggiungiamo materna per non passar seri guai? Sembra una marcetta, il nostro inno, è vero, ma anche perché viene eseguito come una marcetta. Rallentatelo un poco, magari non come quello svedese.

Ma i simboli non sono acqua fresca e non si cambiano come calzini. Dopo 70 anni di nobile precariato, il Mameli rappresenta l’Italia, ci piaccia o no. È legato indissolubilmente ai momenti lieti e mesti della nostra storia repubblicana, ai vittoriosi dello sport e ai lutti. La bandiera sventola pigra, il nostro atleta sul podio la guarda e una lacrima gli scende sulla guancia e anche noi, di nascosto, piangiamo con lui: e l’inno è intriso di quelle lacrime. È come una moglie, né la più bella del mondo, neanche la più colta e raffinata. Ma è la nostra, ci viviamo insieme da precari da 70 anni, finalmente ci sposiamo: non si cambia! Scusate: è anche come un marito. Qui, con la parità di genere bisogna stare attenti…