Italo Calvino conclude il suo romanzo «Le città invisibili» con una frase ormai celebre e sicuramente significativa: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».Un inferno particolarmente terribile è quello che quotidianamente vivono le famiglie di coloro che soffrono di disturbi alimentari. «Conversando» è un’organizzazione di volontariato costituita da un gruppo di genitori che, insieme alle loro figlie/i, quell’inferno l’hanno attraversato e ora provano a dare sostegno e supporto ad altri genitori che si trovano nella loro stessa situazione.«Conversando nasce il 15 aprile del 2004, al termine di un gruppo terapeutico per genitori con figli malati di disturbi alimentari, durato più o meno tre anni e condotto da due psicologhe dell’azienda ospedaliera di Careggi – spiega Silverio Spitaleri, presidente dell’Associazione – . Si arriva a Conversando con il passaparola, oppure andando su internet e digitando parole come “anoressia”, “bulimia”, “disturbi alimentari”. Sul nostro sito poi ci sono i numeri telefonici di riferimento e sono anche indicati i punti di ascolto». «Solitamente noi preferiamo che le persone che hanno bisogno si rivolgano prima al punto di accoglienza per i Dca, così da capire meglio in cosa consiste la nostra attività, per poi fornirci un’ indicazione della loro situazione familiare, in modo che quando parteciperanno alla riunione di gruppo sapremo come indirizzare l’incontro perché sia il più possibile proficuo. Al punto di accoglienza, che si trova al nuovo ingresso Careggi Nic1, si accede senza alcun appuntamento, il lunedì dalle 17 alle 18, ogni quindici giorni».La durata di una riunione è di due ore; gli incontri sono quindicinali e non c’è una data da scadenza: i familiari possono continuare a partecipare al gruppo fino a che ne sentono necessità e ne hanno desiderio. «Quando i genitori arrivano sono prevalentemente poco informati sul tipo di disturbo che si trovano ad affrontare e hanno anche scarse informazioni dal punto di vista medico – spiega Spitaleri – . Noi allora forniamo loro le indicazioni utili per iniziare a muoversi nella situazione che vivono; facciamo loro capire che serve pazienza perché i disturbi alimentari non si risolvono in breve tempo: purtroppo sono malattie di carattere mentale, dell’animo, più che fisiche. Alla fine del percorso ci accorgiamo che sono sicuramente più informati e i riscontri che danno sono assolutamente positivi».All’inizio vengono fatti parlare quelli che frequentano da più tempo e quindi hanno un po’ più esperienza. «Sono liberi di raccontare ciò che vogliono e a questo racconto, alle descrizioni delle proprie sofferenze, si uniscono via via gli altri genitori. È una conversazione, e questo è anche il significato del nome della nostra associazione. Noi conversiamo, nessuno di noi è medico ma ognuno porta la sua esperienza a chi ascolta».E se è vero che per chi soffre di disturbi alimentari il corpo è solo la punta dell’iceberg, il momento del pasto rimane sempre quello più delicato. «Sembrerà strano, ma bisogna imparare a non parlare di cibo con le figlie malate – dice Silverio – lasciarle libere di gestire l’alimentazione come ritengono meglio anche se per un genitore è molto difficile. Poi è importantissimo provare sempre a parlare con loro, non isolarle, fare in modo che non tengano dentro tutta la sofferenza. Bisogna manifestare loro affetto, far capire che non l’abbandoniamo e che se siamo in difficoltà è perché ci preoccupiamo. Ma devono sentirsi sempre ascoltate e mai abbandonate. Mai».