Opinioni & Commenti

L’indipendenza del Kosovo una sconfitta per l’Europa

di Romanello Cantini

Non sono più i tempi in cui si possono battere le mani a chi fa fuochi di artificio per una cosiddetta indipendenza di un popolo. Non siano più nell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso ci aveva insegnato che il nazionalismo non porta né la libertà né la pace. Poi, quando abbiamo cominciato a costruire l’Europa, ci era stato detto che d’ora in avanti dovevamo dire bravo a chi sapeva fare le somme e non le divisioni dei popoli.

Ed ora siamo al paradosso che, mentre si cerca dì completare l’Unione Europea, il vecchio continente e i suoi immediati dintorni partoriscono stati nani, nazioni bonsai la cui unica ragione di essere sembra l’insofferenza di un dirimpettaio, quasi una lite di vicinato.

Da un lato si sta costruendo un superstato continentale di mezzo miliardo di abitanti e dall’altro si creano nuovi staterelli della dimensione di una regione se non di una provincia. Il Montenegro che ha ottenuto l’indipendenza nel 2006 conta 750 mila abitanti. La Transilvania che ha proclamato la sua indipendenza dalla Moldavia ne conta 50 mila in meno e l’Ossezia che si considera indipendente dalla Georgia supera appena il mezzo milione di abitanti. Ora 2 milioni di kossovari si separano da 5 milioni di serbi.

Quando due comunità si separano nasce una bandiera e muore una convivenza. Ma in un mondo così globalizzato e così multiculturale il futuro non viene meno per una carestia di bandiere, ma per la miseria nel comprendere l’altro, nell’accettarlo e nel conviverci accanto. Eroico è oggi tenere insieme due popoli in parità di diritti più che dividerli.

L’indipendenza del Kosovo definiamola pure inevitabile, come dicono i diplomatici, ma dobbiamo comunque chiamarla una disfatta. In quasi dieci anni di presenza della forza multinazionale in Kosovo non siamo riusciti a fare opera di conciliazione fra albanesi e serbi, a riportare anche i serbi nella regione dopo averci ricondotto, con la guerra del 1999 gli albanesi Anche perché affidandosi solo all’esercito sarebbe stato un miracolo che dei soldati sapessero fare la pace come la guerra.

«La via della violenza – diceva Luther King – produce rancore nei vinti e arroganza nei vincitori». Con la guerra del 1999 si mise fine alla persecuzione degli albanesi da parte del serbi di Milosevic, ma a loro volta i kossovari non sono riusciti a perdonare i serbi. E all’esodo rientrato degli albanesi nel 1999 ha fatto seguito negli anni successivi l’esodo inverso quasi totale degli 800 mila serbi, fuggiti in 500 mila in seguito alla guerra e in 200 mila negli ultimi anni.

In nome dell’Europa ora rischiamo di accompagnare con la nostra protezione la vecchissima malattia della balcanizzazione, nemica di ogni unità. Per più di un secolo nella penisola balcanica si sono ritagliate minoranze da una entità statale più grande per accorgersi subito che il nuovo stato aveva al suo interno una nuova minoranza ribelle in un processo di disintegrazione all’infinito. Anche nel Kosovo la minoranza nella minoranza dei serbi di Mitrovica già gridano alla secessione dalla secessione.

E anche l’Unione Europea solo sulla facciata appare unita. Ad opporsi al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo sono paesi come la Spagna, la Grecia, la Romania, la Bulgaria, la Slovacchia, il Belgio che sentono di avere in pancia minoranze analoghe che di fronte all’esempio del Kosovo già tirano calci più convinti.

Così il Kosovo divide di fatto oltre a ciò che rimane della Serbia anche la politica europea , acuisce un contrasto con la Russia e con la Cina, di cui in questo frangente sempre più ricco di contenziosi nessuno sentiva il bisogno, e infine ripete di nuovo quel bypassaggio dell’Onu che, ricordiamocelo, prima di essere attuato da Bush per la guerra all’Iraq è stato praticato da Clinton e dalla Nato nel 1999 per la guerra contro la Serbia.