Vita Chiesa
L’inchiesta: i giovani e la fede
Abbiamo raccolto alcune opinioni di un gruppo di giovani credenti e praticanti cattolici, giovani credenti ma non praticanti, giovani atei. Ne emerge un breve viaggio nel pensiero religioso giovanile, e un confronto di opinioni tra chi è cattolico e chi no.
Viene riconosciuto il fatto di aver acquisito la fede grazie all’educazione cattolica ricevuta da piccoli, perché l’Italia affonda le sue radici in una cultura cattolica: «È importante conoscere la religione cattolica per capire la cultura del paese dove viviamo»(Samuele, 22). Non mancano però le critiche riguardo alle modalità, «troppo tradizionali e noiose», di presentare la fede cattolica da parte di alcuni sacerdoti. Crescendo, si sviluppano convinzioni proprie in merito alla fede e alla Chiesa, che spesso non vanno ad abbracciare i precetti insegnati, e che a volte portano a convinzioni diverse: «Ragionando ho capito che credere fa solo comodo nel momento del bisogno: io non credo proprio perché mi è stato imposto di credere»(MarcoMirko , invece, pensa di «essere stato fortunato nell’aver conosciuto dei preti intelligenti. Spesso ce l’abbiamo coi preti, ci scordiamo che sono uomini e si portano dietro i loro pregi e difetti… sono fallibili. Ci sono sacerdoti che riescono a farti odiare quello di cui parlano, che non fanno niente per mostrare il bello che c’è nella fede e nella Chiesa. A me, invece, ne hanno fatto scoprire l’essenza. L’educazione religiosa è fondamentale, ma bisogna smettere di intenderla come un qualcosa di nozionistico: l’educazione, proprio come dovrebbe succedere nell’istruzione scolastica, deve offrire le basi e gli strumenti per permettere a un ragazzo di sviluppare un personale rapporto con la fede. Penso sia inutile insegnare a un bambino a ripetere a pappagallo l’Atto di Dolore dopo la confessione quando rischia di crescere senza aver capito l’importanza di quel momento in cui si sta realizzando la riconciliazione, tra l’uomo e Dio. Lo sbaglio nel credere in una educazione nozionistica si dimostra facilmente: di solito, la maggioranza di quelli che oggi si ritengono atei o anticlericali, hanno ricevuto da bambini un’educazione religiosa come quasi tutti. E questo è tutto dire».
Sembra esserci un rapporto poco entusiasmante tra i giovani e la ritualità cattolica. La manifestazione più evidente è la scarsa partecipazione giovanile alla Messa domenicale. «Vado a messa per Pasqua o Natale, perché non sento l’esigenza spirituale di farlo per forza tutte le domeniche. Più volentieri, se a volte passo davanti a una chiesa, entro e prego in solitudine»(SimonaDaniaSamueleMirko). I giovani con un così bel rapporto con la ritualità però sembrano la minoranza. La posizione atea: «La messa è uno strumento per controllare e standardizzare la gente: pregavo solo da piccolo, perché mi obbligavano. Oggi non credo in una dimensione spirituale semmai c’è una dimensione psicologica» (Marco ).
I pregi: «Della Chiesa stimo le iniziative di solidarietà, che svolgono un importante ruolo umanitario» (SimonaSamuele, 22Marco). «Stima e rispetto per le persone che lavorano in silenzio, con umiltà, in qualcosa in cui credono, che spesso coincide con qualcosa che è utile agli altri. Stima, rispetto, e anche felicità per il grande evento che è stato il Concilio Vaticano II, che ha spinto d’un botto la Chiesa verso gli uomini e viceversa. Invito chi può a leggersi qualche documento tra i tanti emessi dal Concilio, ci troverà le linee guida per una Chiesa davvero vicina a qualcosa di valido, una Chiesa che per la prima volta ha ammesso di percorrere binari sbagliati, di essere fallibile, e di dover lavorare anche su di sè per raggiungere lo scopo che si prefigge. Stimo e sono anche fiero di alcune prese di posizione molto positive della Chiesa, come l’idea assolutamente scomoda che la proprietà privata, per esempio, non è un principio fondamentale e invalicabile davanti al diritto alla vita». (Mirko )
Le critiche: «la morale cattolica, troppo rigida» (SimonaDaniaMarco