DI ALBERTO MIGONELa Bossi-Fini, dopo l’approvazione della Camera, passa ora al Senato per il varo definitivo. Intorno a questa legge il dibattito è stato acceso, a tratti aspro, anche all’interno della maggioranza e non si escludono al Senato miglioramenti (come è avvenuto per i ricongiungimenti), auspicati da ambienti anche diversi e non esclusi dallo stesso Presidente del Consiglio.Il fenomeno dell’immigrazione è uno di quelli che richiederebbero approfondimento serio e decisioni lungimiranti, nella consapevolezza che i flussi migratori dai paesi poveri e sovrappopolati tenderanno a crescere e che l’immigrazione è anche un’opportunità per il nostro Paese. Si tratta quindi sì di regolarla, ma soprattutto di inquadrarla in un progetto ampio che ne affronti e ne distingua i molteplici aspetti. Altro infatti sono le disposizioni che devono contrastare l’immigrazione clandestina che spesso finisce per ingrossare le fila della criminalità, quando essa stessa non la promuova e la gestisca con azioni particolarmente spregevoli anche verso i propri connazionali, altro sono le norme che devono riguardare le persone che cercano col lavoro una vita migliore negata nei paesi d’origine e che sono in grado di contribuire efficacemente al benessere di chi li accoglie. La Bossi-Fini fa questa distinzione, ma lega strettamente il permesso di soggiorno alla stipula di un contratto di lavoro. È questa rigidità che suscita riserve anche perché l’immigrato perde i suoi diritti nel momento in cui il contratto di lavoro viene meno. E i sei mesi che la legge concede a quanti hanno perso il lavoro per trovarne un altro (pena l’espulsione) sono oggettivamente pochi e paradossalmente questo potrebbe spingere nella clandestinità.Conoscere l’identità certa di coloro ai quali viene concesso il permesso di soggiorno è importante, ma il rilievo delle impronte digitali per la verità in vigore in molti altri Paesi occidentali e soprattutto africani diviene di fatto una schedatura dal momento che non è attualmente previsto per gli altri lavoratori.Le perplessità, però, più che sulle singole norme sempre migliorabili attengono al complessivo spirito della legge che considera l’immigrato prevalentemente come forza lavoro (e in quest’ottica ne regola i rapporti) e non come persona da accogliere e aiutare, col lavoro, nell’integrazione.Tutto colpa della politica, di questa politica? Onestamente dobbiamo riconoscere che in tema d’immigrazione essa finisce per recepire le paure, anche giustificate, e i pregiudizi, dovuti spesso alla non conoscenza, che sono ancora molto diffusi nel comune sentire. E non ne è esente neppure larga parte del nostro mondo.Il testo approvato alla CameraIMMIGRAZIONE: PER CARITAS ITALIANA «LA NUOVA LEGGE NON FACILITERA’ L’INTEGRAZIONE»IMMIGRATI: MIGRANTES, «IMPRONTE DIGITALI, TROPPO ZELO PER L’ITALIA»Vai al sondaggio