Opinioni & Commenti
L’Ici e la Chiesa: falsità tali che sembrano vere
di Claudio Turrini
Una Chiesa avida di soldi, pronta a carezzare il potere per il verso del pelo, pur di ottenere privilegi economici. Ce lo ripetono ogni giorno i principali quotidiani italiani. L’ultima vicenda riguarda l’Ici, l’imposta comunale sugli immobili. La maggioranza di centrodestra starebbe preparando un colpo di mano. Via l’Ici da tutti gli immobili della Chiesa, anche se alberghi di lusso. Per di più con l’aggravante dell’odiosa discriminazione confessionale, perché i benefici riguarderebbero solo le proprietà della Chiesa cattolica. Un generoso regalo di miliardi di euro, sottratti alle esangui casse dei Comuni, già prosciugate dalla manovra di Tremonti. E così i Comuni saranno costretti a tagliare asili nido, trasporti, assistenza agli anziani. Perbacco, verrebbe voglia di andare a protestare sotto le finestre di San Giovanni in Laterano. Tutti lì a gridare: «Ruini, Ruini, giù le mani dai quattrini…». E non sembri un’esagerazione, perché invettive di questo tipo son risuonate in bocca anche ad autorevoli esponenti cattolici del centrosinistra. Nessuno che si sia preso la briga, non dico di leggere «Avvenire» che giorno dopo giorno ha replicato, documentato, chiarito, ma almeno di fare qualche verifica. Avrebbe scoperto che fu ai tempi del governo Amato era il 30 dicembre 1992 che il legislatore volle giustamente escludere dal pagamento della nuova imposta comunale gli immobili degli «enti non commerciali» destinati ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Si badi bene che le esenzioni di immobili della Chiesa sono solo il 4% del totale. Per il resto si tratta di scuole, ospedali, Asl, edifici comunali, provinciali, regionali, immobili di altre confessioni religiose, onlus, associazioni e così via. Nessuno grida allo scandalo e i Comuni si adeguano. L’8 marzo 2004 la Cassazione, respingendo il ricorso di un istituto religioso dell’Aquila, dà una sua «interpretazione» della legge. D’accordo, un istituto religioso è un ente «non commerciale» e gestire un pensionato rientra tra le attività esentate. Però l’esenzione dice la Cassazione non scatta se quell’attività è condotta in modo «oggettivamente commerciale», vale a dire se c’è il pagamento di un retta. L’art. 6 del dl 163, approvato al Senato (a rischio di saltare se non viene convertito in legge anche dalla Camera entro lunedì 17 ottobre) non fa altro che ristabilire la norma del 1992, chiarendo che l’esenzione è ancora dovuta anche quando l’attività sia svolta in «forma commerciale». E a dire il vero introduce una condizione in più, del tutto logica: purché sia «connessa a finalità di religione e di culto».
Cosa cambia rispetto al passato? Assolutamente nulla. Gli enti ecclesiastici continueranno a pagare l’Ici per tutti gli immobili locati e continueranno ad essere esenti, come avviene anche per le altre confessioni religiose che abbiano un’Intesa con lo Stato, per quelli che servono (e gestiscono direttamente) ad attività caritative, assistenziali, ricreative o didattiche. Ma questo poco importa a chi non esita a ricorrere anche alle menzogne pur di far capire alla Chiesa che farebbe meglio ad essere più prudente e silenziosa, senza permettersi di disturbare il «manovratore».
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