Abbiamo bisogno di aiuti finanziari per rispondere alle necessità di migliaia di profughi africani rimasti a Tripoli. E’ questo l’appello, lanciato oggi tramite il SIR (clicca qui), da padre Alan Arcebuche, direttore di Caritas Libia, che a Tripoli gestisce un centro migranti e assiste soprattutto i rifugiati da Eritrea, Etiopia, Somalia e altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, che non possono uscire dalla Libia perché perseguitati in patria. Nei giorni scorsi il vicario apostolico di Tripoli mons. Giovanni Martinelli aveva chiesto ai Paesi europei di evacuarli, ma finora non sono arrivati aiuti concreti. La Caritas si trova oggi a dover rispondere ai bisogni di 400 eritrei, 200 etiopi e 200 somali: soffrono molto, non possono uscire di casa, non hanno più cibo. Ci sono anche 600 africani subsahariani, che però possono tentare di raggiungere la frontiera con la Tunisia. Anche altri 400 africani sub-sahariani, nigeriani e ghanesi sono in difficoltà per gli stessi motivi. La mancanza di risorse per l’assistenza è data dall’aumento spropositato del prezzo dei generi alimentari: Il cibo c’è dice padre Arcebuche – ma i prezzi sono aumentati del 2-300 per cento. Anche il riso, che costava 8/10 dinari ora costa 25/30 dinari. Il procacciamento di generi alimentari e di acqua è difficile anche per i libici. Padre Archebuche conferma di aver sentito ieri spari in tutta la città e urla di gioia, come se si stesse celebrando una vittoria. Tripoli è sotto il controllo dei governativi. Secondo informazioni ricevute, ci sono una trentina di feriti negli ospedali dell’area di al-Zawiya, a 45 km da Tripoli ma non sappiamo quante persone sono morte. Finora la comunità cristiana non è stata coinvolta direttamente nel conflitto precisa -, ma è stata colpita dagli effetti indiretti della guerra, come l’aumento dei prezzi o l’impossibilità di uscire dalla città. Tra le religiose presenti nel Paese, informa, una decina di suore appartenenti a due comunità hanno lasciato la zona in cui operavano dopo due giorni di duri scontri. La decisione è stata presa dai superiori. A Tripoli rimangono invece 4 comunità religiose, con una ventina di suore. Circa 3.000 filippini, soprattutto donne che lavorano negli ospedali come infermiere, sono ancora in Libia. Hanno deciso di rimanere per assistere i feriti, per non rinunciare alla loro missione. Padre Arcebuche non sa dire se ci sarà o no un post-Gheddafi, perché le forze governative sono molto forti, sia a Tripoli, sia altrove. Per il futuro dei libici auspica una possibilità di riconciliazione e pace. Ma c’è ancora una potenziale instabilità politica in tutta la Libia.Sir