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Libia, dal mondo cattolico un altolà ad azioni militari come nel 2011

Si discute in questi giorni su quali azioni intraprendere per fermare il caos in Libia, con gli scontri tra opposte fazioni e l'avanzata dei jihadisti dell'Is. Lo abbiamo chiesto ai responsabili di alcune associazioni cattoliche (Acli, Mcl, Cl e Ac).

«Fermare il caos in Libia, contrastare le milizie fondamentaliste e tutti i gruppi armati è possibile senza più ripetere gli errori del passato. Un altro intervento armato porterebbe solo all’aggravamento della situazione». Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli chiede di evitare un nuovo intervento armato nel Paese disastrato dalla guerra del 2011. «Il massimo sforzo – prosegue Bottalico – deve invece essere fatto per ripristinare le forme minime della statualità in Libia attraverso le vie della politica e della diplomazia, a cominciare dall’interlocuzione con il governo legittimo della Libia, e per un’iniziativa dell’Onu per un accordo tra le parti».

Punta il dito sui disastri del passato anche Carlo Costalli, presidente nazionale Mcl. «Per quanto temuto, questo sviluppo della crisi libica era ampiamente prevedibile – spiega –. Se nel 2011 Sarkozy e Cameron avessero tenuto conto degli insegnamenti della storia si sarebbero accorti che un intervento militare come quello compiuto contro il regime di Gheddafi, avrebbe portato ad un allungamento della guerra civile, ad un conseguente drammatico aumento delle vittime ed una prolungata instabilità del paese: quell’esercizio di politica neo coloniale senza un minimo di progetto di ricostruzione di un sistema stabile, efficiente e possibilmente democratico ha permesso la trasformazione della Libia in una sorte di Somalia di fronte alle nostre coste». Costalli è scettico sulla capacità dell’Ue di intervenire «con buona pace di chi ha ritenuto la nomina di Federica Mogherini un grande successo per l’Italia». Quanto ai rischi per il nostro Paese non crede «che l’Isis, aldilà della propaganda, possa occuparsi dell’Italia, ma certamente è un nemico dell’Occidente e fomentatore del terrorismo: ma prima di lanciarsi in un intervento in Libia è indispensabile pensare bene a cosa dovrebbe servire, come realizzarlo ed insieme a chi… Oltre all’Onu sarebbe importante il sostegno di stati arabi. Perché si tratterebbe di guerra vera».

Per Andrea Simoncini, membro del consiglio di presidenza nazionale di Comunione e Liberazione, «la pretesa di risolvere le situazioni di conflitto con le armi è una soluzione finale ed estrema cui ci si può rivolgere solo quando tutti i tentativi diplomatici e politici siano divenuti impercorribili». Simoncini ricorda l’eccidio dei cristiani copti «come tutti i morti di qualunque religione prodotti dalla violenza terroristica che si sta sconvolgendo la Libia» sono «un grido affinché tutta l’umanità torni a riconoscere e a vivere in uno spazio di libertà nel quale ciascuno possa esprimere la propria identità ed offrirla all’altro come occasione di incontro e dialogo. Come di recente ha ribadito Julian Carron dopo le vicende che hanno colpito la Francia – prosegue Simoncinbi –, “abbiamo imparato, dopo un lungo cammino, che non c’è altro accesso alla verità se non attraverso la libertà. Perciò abbiamo deciso di rinunciare alla violenza che pure ha segnato momenti della storia passata”. In questo l’unica strada attraverso cui la verità si afferma è quella della testimonianza, così come ci indica la grandezza della fede di mons. Giovanni Martinelli, Vicario apostolico a Tripoli, rimasto quando tutti fuggono, a mostrare la bellezza della verità disarmata del Cristianesimo».

Giovanni Pieroni, delegato regionale toscano dell’Azione cattolica si dice preoccupato perché la gente per strada «comincia a domandarsi: “ma questi islamici sono davvero così vicini?”. È evidente che il tarlo del dubbio indiscriminato verso l’altro comincia a diffondersi anche nelle nostre comunità. La discussione immediatamente ripresa con foga dalla strage di Charlie Hebdo in poi su “islam e terrorismo” rende evidente quanto sia sempre più importante e insieme difficile continuare a creare occasioni di incontro, proporre dialogo, mantenere quel clima di fraternità che in questi anni a Firenze abbiamo lentamente costruito con iniziative comuni (come gli incontri dei ragazzi ebrei cristiani e musulmani degli scorsi anni) e la pratica concreta e reciproca dell’ascolto e del rispetto fra i componenti della famiglia di Abramo, come avviene nei seminari organizzati dal Gruppo di Dialogo Ebraico-Cristiano-Islamico di Firenze».

«È lo stesso dolore per le vite innocenti spezzate dall’odio – continua Pieroni – che ci fa sentire la necessità di non fermarci e ci rafforza nella volontà di vedere un fratello in chi è diverso da noi e non semplicemente un “problema”: siamo accanto alle vittime di questa furia cieca e preghiamo per loro, consapevoli che non dobbiamo far sentire soli i fratelli musulmani che sono lontani da estremismo e terrorismo, perché si sentano più forti nel condannare con forza chi crede di poter usare il nome di Dio per uccidere, in Europa come in tante altre parti del mondo».